di Gianni Di Quattro

Qualche settimana fa un piccolo gruppo di amici e vecchi colleghi, che si vanta di essere pomposamente comitato promotore di Olivettiani anche se tutti sanno che fa tutto Mauro Ballabeni, si è riunito per una colazione, chiamata di lavoro, per decidere cose che riguardano la vita e il futuro di Olivettiani. Il pranzo è andato benissimo, il piacere di incontrarsi tra amici è stato alto, il vino scelto come al solito da Mauro era ottimo, la discussione è stata un po’ altalenante, nel senso che alternava momenti di ottimismo antico ad un pessimismo in linea con i tempi. Di cosa si doveva parlare e si è parlato? Dobbiamo riproporre anche questo anno la solita adunata con pranzo autunnale per incontrarci, cercare di stare poche ore insieme per ricordare momenti della nostra vita, episodi che non abbiamo dimenticato, gli amici che non ci sono più, le speranze che ancora coltiviamo?

Ci siamo detti con sincerità che mano a mano che gli anni sono passati queste adunate hanno visto meno partecipazione, un po’ perché alcuni sono spariti, un po’ perché altri sono meno agili di una volta, un po’ perché dobbiamo ammettere che molti hanno quasi meno voglia di muoversi, organizzarsi, magari c’è meno autonomia. Forse c’è la paura anche di provocare la nostalgia che rischia di superare il livello in cui da dolce romanticismo si trasforma in rimpianto di una vita che per molti è all’ultimo miglio.

Ne abbiamo parlato molto, si sono confrontate tesi diverse tra un boccone ed un sorso di vino e poi abbiamo concluso. Abbiamo concluso che non importa quanti siamo e quanti saremo, sono ormai tanti anni che ci riuniamo nel nome di Olivetti, che ci incontriamo per ricordare insieme la nostra azienda e la nostra vita di lavoro, la nostra amicizia soprattutto. Ed allora, ci siamo detti, continuiamo a farlo a prescindere che si sia in cento o in dieci, perché intanto è sempre bello e poi è come se rendessimo omaggio alla Olivetti, alla sua cultura, al modo di come ci ha consentito di crescere e di lavorare.

 Siamo certi che quelli che potranno ci saranno, quelli che non potranno ci penseranno, si faranno vivi in qualche modo, magari con un messaggio, un saluto, un abbraccio anche virtuale. Ed allora continuiamo a credere.

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