di Gianni Di Quattro

Allora se ne va questo pessimo bisestile 2020 e si affaccia un nuovo anno su cui molti fanno affidamento come succede quando si scarta un nuovo regalo, quando si ammira un acquisto di qualche cosa che si è desiderata da tempo.

Noi olivettiani abbiamo un anno di più ed anche quest’anno ci toccherà assistere ad alcuni di noi che se ne vanno, siamo tutti o quasi anziani e siamo tutti o quasi nelle condizioni che questo possa succedere. Ed è un anno di più che è scomparsa l’azienda in cui abbiamo lavorato, in cui molti di noi sono cresciuti, in cui abbiamo imparato o comunque praticato conoscenze e valori che ci sono rimasti attaccati per sempre.

Certamente continueremo a ricordarla, soprattutto quella ancora di Adriano e poi per solo un po’ di Roberto e comunque quella più vicina alla loro presenza, perché è là – sono stati loro – che si sono buttati i semi e si è lavorato per una iniziativa imprenditoriale straordinaria per i tempi e che ancora oggi a distanza di diversi decenni se ne parla come una fucina di idee, di modi di interpretare l’imprenditoria, il capitalismo, il rapporto tra azienda e fabbrica e territorio. Una iniziativa che ha avuto successo, che ha spiegato al paese che cosa significa internazionalismo, che ha spiegato al paese cosa significa per avere successo le risorse umane e come si cercano e si gestiscono.

La Olivetti successiva la amiamo lo stesso, ma certamente si è progressivamente allontanata dai criteri che la avevano fatta crescere e che la avevano connotata, e poi nella parte finale addirittura è stata percorsa da spregiudicati personaggi, simili ai predoni che saccheggiavano le città e i borghi dove capitavano. Meglio non parlarne, è inutile accusare, mettere in rilievo comportamenti dolosi o colposi, cercare di capire come è stato possibile che uomini apparentemente colti abbiano potuto calpestare nel modo più brutale la Olivetti e tutto quello che rappresentava.

Pensiamo al futuro, perché tutti noi ci teniamo ad averlo e cerchiamo di costruircelo giorno per giorno con i ricordi, gli affetti e gli amici conquistati, i valori incorporati, le speranze mai sopite.

Facciamo gli auguri all’amico Mauro Ballabeni che il 31 compie gli anni e che merita tanta considerazione per quanto si è prodigato e continua a farlo per tenerci collegati, per sapere quando cerchiamo qualcosa o qualcuno dove e come cercare. È bello che uno di noi si sia assunto questo compito.

E poi leggiamo senza prendercela troppo le considerazioni che improvvisati amanti della Olivetti per interesse o per giocare un ruolo dicono e non facciamo caso non solo ai loro errori storici, ma soprattutto alla incapacità di costruire un racconto con un’anima, un racconto vivo e pieno di sentimento.

Noi godiamoci il nostro passato che è servito a darci le forze per vivere questo presente, pensiamo al futuro continuando a manifestare le nostre idee, a mettere i nostri ricordi a disposizione, cerchiamo di spiegare che non ci sono stati complotti internazionali a distruggere la nostra azienda, forse fatto salvo un momento per un evento che non si può definire complotto, ma certo un volere approfittare delle vicende cinicamente e cioè la vendita della Divisione Elettronica alla General Electric.

Ma, attenzione, non solo al di là dell’oceano, anche sulla terra che calpestiamo ci sarebbe da dire tanto, ma proprio tanto.

Teniamoci in contatto, cerchiamoci, raccontiamoci, ognuno di noi sa che può trovare in ogni altro di noi non solo un compagno di un percorso fatto, ma anche un amico, uno che capisce i nostri pensieri e che condivide i nostri valori.

Auguri al mondo Olivetti nel suo complesso, alle sue associazioni tutte, a tutti i suoi componenti, a tutti coloro che hanno apprezzato e ancora apprezzano l’azienda e il modo di essere che ci siamo, grazie ad essa, costruiti. Auguri amici, ma diamo tutti un segnale perdiana del nostro valore e del fatto che non molliamo, sappiamo, siamo pronti a qualsiasi dibattito, amiamo il nostro passato e, infine, siamo consapevoli di tutto quello che abbiamo fatto e conosciamo i colpevoli anche se non li denunciamo. Siamo fatti così

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