In occasione del pranzo annuale dei colleghi dell’Associazione Pozzo di Miele (un sodalizio di ex dipendenti Olivetti LRE, General Electric, Honeywell Information Systems, Bull, Compuprint), l’amico Fabio Capocaccia si è presentato con un foglietto di appunti che pensava di utilizzare per animare l’incontro nelle pause fra un piatto e l’altro. Resosi conto che il discorsetto sarebbe stato un po’ troppo lungo, ha acconsentito a trasformarlo in un articolo, sulla falsariga dei “Ricordi di …” che abbiamo pubblicato più volte in passato. Eccovi quindi alcuni episodi e aneddoti dei suoi primi anni di lavoro, attività che si è poi diversificata in altri settori al di fuori del filone olivettiano. Buona lettura.

Premessa

Nel 1959 sono stato assunto con borsa di studio al Laboratorio Ricerche Elettroniche Olivetti a Borgolombardo, dopo un primo contatto con Barbaricina per la tesi di laurea (Un contatore elettronico a transistor) svolta in collaborazione con Remo Galletti, che allora faceva parte del nucleo iniziale costituito da Adriano Olivetti e coordinato da Mario Tchou per il progetto di un elaboratore elettronico in collaborazione con l’Università di Pisa.

Borsa di studio, perché dopo la laurea (1958) dovevo ancora fare il servizio militare, senza sapere dove le Forze Armate mi avrebbero destinato; fui quindi “prenotato” dall’ufficio personale dell’Olivetti, dopo un colloquio indimenticabile con l’ingegner Adriano che voleva assolutamente parlare di transistor!

Per fortuna la mia destinazione fu poi a Milano, in Aeronautica a Piazzale Novelli; essendo libero di mattina, tutti i giorni alle otto aspettavo in divisa da aviere Remo Galletti sotto casa sua, per uno strappo a Borgolombardo dove lavoravo con lui sui circuiti dell’Elea 9003.

1960: Olivetti batte IBM al gioco degli scacchi

Nel 1960 alla Fiera di Milano Olivetti presentava l’Elea 9003, in uno stand che era faccia a faccia con lo stand IBM. Con un dettaglio, IBM esponeva un calcolatore ancora a valvole (il RAMAC 650 con memoria a tamburo), mentre Olivetti presentava il primo calcolatore a transistor. IBM era letteralmente terrorizzata. Puntava l’approccio al pubblico sul finale di una partita a scacchi, su scacchiera ridotta 3×3, uomo contro computer.

In visita alla Fiera, mi sono seduto sulla sedia del finale a scacchi. Premetto che ero, e sono, un pessimo giocatore. Ed è stata la mia fortuna: la mossa che ho fatto non era contemplata dal calcolatore IBM. Faccio la mia mossa … ma non arriva la contromossa. Un minuto di attesa e il computer è sconfitto per abbandono. Suona la sirena, accorrono i visitatori ed arrivano i tecnici IBM.

Tra questi c’era l’ing. Petrignano, mio compagno di università a Genova, che sbotta: “questo lo conosco bene, è un ingegnere dell’Olivetti”. Scoppia un casino. A sei mesi di distanza, tra la sede centrale IBM di Poughkeepsie (NY) e la filiale di Milano si scambiavano ancora lettere sull’azione proditoria di boicottaggio dello stand IBM da parte di un “ingegnere Olivetti travestito da aviere”.

Morale, a parte l’episodio divertente, vivevamo veramente un’epoca eccezionale, irripetibile, in cui il prodotto Olivetti (l’Elea 9003 allora e più tardi la Programma 101), dettava legge nelle fiere di tutto il mondo, facendo preoccupare le multinazionali.

Federico Faggin assunto due volte

Un anno dopo, nel 1961, nell’ufficio Progetto Circuiti in cui lavoravo e che Galletti aveva da poco lasciato per essere sostituito da Lucio Castelli, viene assunto un giovane perito, Federico Faggin, diplomato a pieni voti all’Istituto Alessandro Rossi di Vicenza.

Lavora qualche mese con noi, con Sergio Sibani in particolare, dimostrando notevoli doti di autonomia, finché un giorno si presenta da me dicendo: vorrei tornare a studiare per prendere una laurea; capirà ingegnere, mio padre è professore …..

D’accordo gli dico, ma appena ti laurei la prima telefonata la fai a me.

Passano quattro anni. Conseguita brillantemente la laurea, la prima telefonata Faggin non la fa a me, ma a Sibani, che nel frattempo si era imbarcato nell’avventura della Ceres, una piccola società fondata da Dino Olivetti a Cornaredo. Faggin lavora alla Ceres poco più di un anno, senza eccessive soddisfazioni.

A questo punto si ricorda della promessa fattami e mi chiama. Lo assumo all’istante, e il giorno dopo è in SGS, come si può leggere sul libro di Angelo Gallippi – Faggin, il padre del chip intelligente – edito da ADN Kronos, un libro che vale la pena di leggere.

Federico Faggin

Infatti, nel frattempo io nel 1966 ero passato dalla Olivetti alla SGS come direttore della Ricerca, con l’obiettivo segreto, ma poi abbandonato, di sviluppare la versione a circuiti integrati MOS della Programma 101 (la SGS era stata fondata nel 1957 da Olivetti e da Telettra in collaborazione con l’azienda statunitense Fairchild Semiconductor).

Faggin lavora con me e depositiamo anche un brevetto assieme. Qui commetto l’errore (o il capolavoro?) della mia vita: invio Faggin alla Fairchild Semiconductor a Palo Alto in California per sei mesi, per sviluppare il nuovo processo “MOS Silicon Gate” che in SGS funzionava ma era ancora instabile. Faggin alla fine di ogni settimana mi inviava un rapporto manoscritto di una decina di pagine sul lavoro svolto. Al sesto mese l’ultimo rapporto terminava così: mi dispiace ingegnere, ma ho deciso di non tornare in Italia.

È stato uno shock, però in coscienza non mi sono sentito di sconsigliarlo. Il resto è storia; Faggin lascia la Fairchild, fonda la Zilog e da allora è universalmente riconosciuto come l’inventore del microprocessore integrato. Un altro esempio di contributo – anche se indiretto – dell’Olivetti all’avanzamento della tecnologia degli elaboratori a livello mondiale.

Testimoni di Borgolombardo: da sinistra Coraluppi, Gallico, Capocaccia, Frisiani, Vinsani

A proposito di Sergio Sibani …

Proprio mentre Faggin lavorava all’Olivetti di Borgolombardo nel 1961, Sibani, che era il suo supervisore, decideva di realizzare il sogno della sua vita. Sibani era un ottimo ricercatore, un po’ diffidente anche se generosissimo di natura, ma era soprattutto un appassionato di auto e un guidatore spregiudicati. Possedeva un’Alfa 1900, soprannominata “la spingardona”, ritenuta a ragione l’ammiraglia di Borgolombardo. Mario Tchou ad esempio usava un’auto americana compact che Sibani disprezzava, perché dotata di un cambio automatico (forse colpevole in parte del fatale incidente in cui Tchou perse la vita).

Sibani conosceva ogni dettaglio della sua macchina; nella villetta in Versilia aveva trasformato il piano terra in officina, è lì durante i fine settimana smontava e rimontava pezzo per pezzo la sua 1900. Dopo 200mila chilometri decide di rifare il motore: proprio così, rifare, non far rifare. Per due settimane non lo si vide più, ogni tanto telefonava … “sto alesando il secondo cilindro”… e così via. Finiti i lavori, con la 1900 interamente rinnovata, parte a tutta velocità per un giro di collaudo lungo la statale alberata tra Pisa e San Rossore, si china per raccogliere qualcosa e bum!…

Lui è stato ricoverato per due mesi. L’auto è stata venduta e il ricavato (19.000 lire) era il valore della marmitta nuova, unico pezzo vendibile. Nel frattempo Faggin, in sua assenza e in totale autonomia, aveva completato il progetto che gli era stato affidato.

Dal transistor al microprocessore

In quegli anni si assistette ad uno sviluppo tumultuoso della tecnologia elettronica; si passò dalle valvole ai transistor al germanio (fine anni ’50), e successivamente dai transistor al germanio ai transistor al silicio. Di quest’ultima tecnologia Fairchild Semiconductor divenne rapidamente leader mondiale.

Adriano Olivetti e suo figlio Roberto avevano intuito che l’avvento dell’elettronica a semiconduttori avrebbe richiesto la disponibilità di componenti vicino alla produzione italiana e che Fairchild sarebbe stato il partner giusto. Da qui l’alleanza con Telettra, altra azienda elettronica italiana, e con Fairchild per la creazione di una fabbrica locale, la Società Generale Semiconduttori (SGS) di Agrate Brianza.

Già all’inizio degli anni ‘60 era evidente che la tecnologia avrebbe consentito di mettere più di un transistor sulla stessa piastrina di silicio, realizzando quelli che in seguito si sarebbero chiamati “circuiti integrati”, con enormi vantaggi di affidabilità, ingombro, velocità e costo. Fu così che, occupandomi di circuiti sotto la guida di Lucio Castelli, nel 1962 fui inviato a Palo Alto per uno stage di otto mesi presso la Fairchild, con il compito di progettare i primi circuiti integrati (da due a quattro transistor per piastrina) per la nuova generazione di calcolatori Olivetti.

L’esperienza si ripete nel 1964, per un secondo stage di altri otto mesi. La tecnologia aveva fatto altri passi avanti: si trattava allora di utilizzare la nuova tecnologia MOSFET (metal oxide semiconductor field effect transistor) per la versione integrata della nuova Programma 101, di cui Pier Giorgio Perotto stava sviluppando in parallelo una soluzione ibrida a transistor montati su circuiti a film sottile, che fu poi messa in produzione.

La nostra versione a circuiti integrati doveva essere esposta, come prototipo, alla Fiera di Milano del 1965 ma: all’ultimo momento fu deciso, dolorosamente per me ma credo giustamente, di non farlo per non confondere il mercato, dato che stava uscendo la versione a film sottile di Perotto.

Pregnana: musiche alla Cascina Svizzera

Nell’intervallo tra i miei due viaggi in California, si annunciavano cose importanti in Olivetti: il progetto della fabbrica di Le Corbusier, il trasferimento a Pregnana Milanese e il nuovo rapporto con General Electric. Mentre ero negli Stati Uniti avevo partecipato ad una riunione con i vertici GE a Phoenix, in Arizona, in cui si parlò molto di circuiti integrati e del contributo di Fairchild.

Rientrato in Italia, avevo il problema di traslocare vicino al nuovo stabilimento di Pregnana, e stavo cercando casa quando mi informano che in portineria c’è un agricoltore svizzero che parla di sistemazioni in cascina. Una cascina in aperta campagna, equidistante dai tre centri abitati di Pregnana, Vanzago e Rho, con mucche e cavalli.

Ne parlo perché ha avuto, come sistemazione, un certo seguito in Olivetti. Io ho confermato subito, anche perché fra poco mi sarei sposato, ma anche altri (prima George Kassabgi e più tardi Luciano Lauro) hanno poi seguito il mio esempio. Quando mi sono stabilito in cascina, un tavolato di mattoni separava il mio studio dalle mucche della stalla.

Lucio Castelli

Lucio Castelli, il mio capo, era un musicista Jazz di rilievo e come tutti i veri jazzisti improvvisava ed aveva una versatilità totale. Perché non provare a fare musica barocca insieme? (io avevo studiato violoncello classico). Così la Cascina Svizzera – così si chiamava in omaggio alla nazionalità del proprietario – ha ospitato concertini e prove.

Prove, ma a un certo punto si è organizzata un’esecuzione seria: una Sonata di Haendel per flauto (sostituito dal clarino di Lucio) e basso continuo (fatto da me). Trenta persone in sala, tutti Olivetti. Mi ricordo che per non sembrare troppo seri, avevamo concordato di aggiungere nel finale della Sonata la cadenza patriottica “non passa lo straniero, zum zum”.

La cascina esiste tuttora: è ormai lambita dall’estensione della nuova Zona Industriale di Pregnana. Ora è attorniata da quattro palazzine più piccole come residenze, la stalla è stata riconvertita in abitazioni … e si chiama tuttora Cascina Svizzera!

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Fabio Capocaccia. Laurea ingegneria elettronica (1958). Olivetti LRE Borgolombardo e Pregnana (1959- 66). SGS Agrate (1966-72). Ansaldo, Elsag (1973-84). Porto di Genova come DG, SG, Commissario (1984-2004). AD di RAM SpA presso il MIT a Roma (2004-2008). Presidente Istituto Internazionale Comunicazioni (2008-oggi). Professore di seconda fascia Tecnologie Elettroniche presso Università di Genova (1966-2005).

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