di Gianni Di Quattro                                         

Sul frontespizio del Teatro Massimo di Palermo, uno splendido teatro, uno dei grandi dedicati all’opera lirica, sta scritto che “l’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire”. In altri termini segnala con forza quanto è importante l’arte, che è cultura, nella costruzione del futuro, quanto è importante per la costruzione di un futuro più civile, soprattutto più bello e la bellezza è il motore più importante per l’umanità.

E’ un messaggio per tutti coloro che vogliono il futuro, che amano la dinamica della vita, che credono nella evoluzione della bellezza, che vuol dire evoluzione di civiltà e di umanità. Ma c’è anche tanta gente che non ama il futuro, che non vuole il futuro. Molti perché semplicemente ne hanno paura, come si può avere paura di una cosa che non si conosce, altri perché temono per i propri privilegi che sono riusciti ad accumulare, a raccogliere in qualche modo non importa se lecito o illecito, altri ancora infine perché il futuro è al di fuori dell’orizzonte della propria ideologia, costruita per compensare ciò che non si ha nella propria vita o perché abbracciare un credo, che sia una religione o una religiosa interpretazione, dà sicurezza, fiducia e speranza soprattutto a chi ha un carattere e una personalità per natura o per difficoltà di vita piena di buchi e di timori della vita.

Bisogna capire quelli che hanno paura del futuro, ci sono anche quelli che hanno paura del vaccino o del buio, magari non giustificarli, certamente aiutarli ad uscire fuori dal tunnel oscuro in cui stanno portando avanti la loro vita.

Ci sono anche le aziende che hanno paura del futuro e che lavorano solo ed esclusivamente in una ottica di breve termine e forse la maggioranza delle aziende di certe dimensioni soffre di questa patologia magari a differenza delle piccole dove l’imprenditore lavora ed opera per lasciare a qualche figlio quello che realizza, il business, l’impresa. A tale proposito mi viene in mente la figura di Adriano Olivetti, forse la prima figura nel nostro paese ma anche a livello internazionale a ragionare della propria impresa pensando al futuro, come se non si potesse fare impresa senza disegnarne il suo futuro. Questo spiega i suoi investimenti nel capitale umano, nella ricerca e assunzione di talenti, spiega gli investimenti nella elettronica, nella costruzione di un network internazionale, nel cercare una presenza industriale in America, nel pensare un modello di impresa in definitiva non solo per fare soldi nell’immediato o a breve, ma per progettare un percorso legato anche al territorio, alla cultura e alla bellezza e cioè ai grandi valori della vita dell’uomo. Ed è perché  molti di noi che abbiamo lavorato alla Olivetti lo avevamo capito, avevamo capito che stavamo lavorando in una azienda diversa, eravamo dentro ad un progetto umano di vasta portata, per questo che siamo ancora così legati al nostro passato e al suo significato non solo puramente mercantile. Alla  fine tutto si capisce e molti  che guardavano alla Olivetti come un mondo di fanatici o di guastatori sociali ora stanno scoprendo che cosa era la Olivetti e perché nulla ha significato anche oggi senza valori, che non sono solo i valori di guadagnare e accumulare.


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