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Lo sviluppo del progetto (1963-64)

Dopo il progetto UME, e la lieta sorpresa della stampantina, le idee di fondo erano ormai chiare, ma sostanzialmente tutto era ancora da fare.

Con grande slancio, a primavera inoltrata del ‘63, mi sono imbarcato con Garziera in una full immersion durata quasi due anni per lo sviluppo del progetto logico.

Perotto iniziava a gravitare a Ivrea per coordinare le attività meccaniche ed avviare lo studio della soluzione strutturale e ingegneristica dei vari componenti (memoria, piastre a circuito stampato, montaggio dei componenti etc.).

Ci sembrava quasi impossibile che nel resto del mondo qualcun altro non stesse pensando le stesse cose e potesse infilarci sul traguardo.

Abbiamo così cominciato una gara a cronometro impegnandoci allo spasimo. La giornata finiva quasi sempre a mezzanotte inoltrata con l’intervallo della cena dal Brusin, una simpatica locanda di campagna, e qualche volta le libagioni di Barbera troppo abbondanti non contribuivano alla causa della P101. Non era raro che anche sabato e domenica fossero dedicati alla causa con probabile disappunto delle rispettive moglie e fidanzata.

Col primo prototipo, completato a gennaio del ‘64, erano stati risolti molti problemi aperti e finalmente si aveva la percezione di quanto sarebbe stata ingombrante l’elettronica.

Anche se non ancora incorporata nel prototipo, per non condizionarne i tempi di sviluppo, in parallelo era stata definita la soluzione ingegneristica finale del gruppo elettronico, su piastroni di dimensioni di poco superiori al formato A4.

Tutta l’elettronica avrebbe occupato poco più di una scatola da scarpe taglia 44.

Mancava però ancora la cartolina magnetica, introdotta a seguito della fortunosa dimostrazione al direttore commerciale e la istruzione di radice quadrata.

Il mattone circuitale fondamentale era il Nor a resistenze, progettato nei LRE; era realizzato con il transistor al silicio 2N708 (un’altra novità tecnologica recente che sulla carta prometteva, e poi ha mantenuto, una affidabilità di funzionamento in relazione alle variazioni di temperatura ambiente decisamente superiore e un tasso di guasti nel tempo molto più basso di quello dei predecessori al germanio).

Il Nor era preassemblato in un blocchetto (micromodulo), che veniva inserito nel piastrone; questa soluzione, pensata da Perotto, anticipava quella analoga dei circuiti integrati micrologici di successiva generazione. Le previsioni di costo di 300 lire per transistor (mezzo dollaro dell’epoca) si sono poi puntualmente avverate.

Le piastre definitive avrebbero avuto circuiti stampati su entrambe le facce e fori metallizzati di collegamento tra le due facce (novità tecnologica assoluta all’epoca).

ll prototipo dimostrativo finale, con prestazioni e ingombri definitivi, completato nell’ottobre del 1964, è stato presentato al top management e alla prima linea dei dirigenti. E così tutta l’Olivetti, oltre a pochissimi autorevoli personaggi, è venuta a conoscenza dell’oggetto misterioso.

Due obiettivi base hanno permanentemente accompagnato lo sviluppo del progetto: la macchina doveva costare poco ed essere facile, anzi facilissima, da imparare e utilizzare.

Va qui ricordato che la modularità logica e fisica dei gruppi funzionali di un progetto elettronico (unità centrale e governi delle unità periferiche) era un requisito nettamente contrastante con l’ossessivo obiettivo primario di ottimizzazione dei costi del prodotto, che dipendeva alla fin fine dal numero di funzioni elementari (di transistor) utilizzate. Il progetto logico veniva quindi sviluppato in modo quasi monolitico, ricercando la massima integrazione funzionale a scapito della separazione e modularità dei gruppi funzionali.

Il gruppo elettronico utilizzava circa 670 transistor, montati su 8 piastre più una contenente anche la memoria.

E va da sé che una grande attenzione è stata dedicata alla definizione del set di istruzioni e alla verifica della sua validità per un campo molto articolato di settori applicativi, ben confermato dalla ampiezza della biblioteca di programmi che sono stati successivamente sviluppati.

Qui sostanzialmente era tutto da inventare, in assenza di una qualsiasi soluzione di riferimento preesistente; e anche qui l’approccio è stato quello di partire dal basso, cioè dalle quattro operazioni aritmetiche, e di estenderlo con delle semplicissime (a risultato concluso) istruzioni di trasferimento dei dati, di salto e stampa su rotolo.

Complessivamente tutto il linguaggio era realizzato con 15 istruzioni di significato intuitivo ed elementare. Il linguaggio di programmazione coincideva quindi con il linguaggio macchina, e non era richiesta alcuna funzione di ”sistema operativo”, un concetto allora molto oscuro e vago, essendo il programma di volta in volta immediatamente caricato dall’operatore con la scheda magnetica.

A questo proposito vorrei ricordare due curiosità. Perotto probabilmente pensava che, per quanto bravo, ero però sicuramente ignorante (nel senso di digiuno) di linguaggi di programmazione e, prima di iniziare lo sviluppo del prototipo definitivo, mi aveva consigliato di consultarmi con il dott. Alfieri, un softwarista molto esperto dei laboratori.

La perplessità iniziale (non capivo che affinità ci potesse mai essere tra l’astruso linguaggio assembler dell’Elea ed il nostro caso e pensavo di dover partecipare a una serie di inutili sedute psicanalitiche) si è subito tramutata in rispetto per la sua competenza e capacità di percezione.

E così, su suo suggerimento, è stata introdotta una istruzione di salto simbolico che permetteva al programmatore di individuare la nuova istruzione da cui riprendere il programma senza doverne calcolare la posizione, ma semplicemente inserendo un riferimento per il salto prima della stessa istruzione. Era una concetto ovvio per un programmatore assembler, ma non per noi, ed infatti non ci era venuto in mente.

Inoltre, parlando a mensa con un collega, ero venuto a conoscenza di un metodo, descritto nella bibbia informatica di allora, l’Arithmetic Operations in Digital Computers del Richards, che permetteva di realizzare facilmente in hardware l’istruzione di radice quadrata, evitando di impegnare la memoria con uno specifico programma. Oggi fa sorridere constatare che la base dell’algoritmo si studiava già alle scuole medie (progressioni aritmetiche) e deriva dalla osservazione che la somma dei primi n numeri dispari è uguale al quadrato di n.

Con una manciata di transistor (poco più di una decina), abbiamo così aggiunto una prestazione molto utile e di grande prestigio. E così la struttura del linguaggio di programmazione è diventata quella definitiva.

 

Due eventi che avrebbero potuto cancellare la P101

Quando nella primavera del 64 abbiamo iniziato la stesura dello schema logico finale, a Pregnana Milanese, dove erano stati trasferiti da poco i LRE in previsione di futuri grandi sviluppi, hanno cominciato a diffondersi le voci della prossima cessione della Divisione Elettronica Olivetti alla General Electric e un diffuso senso di sconcerto era presente tra le persone dei laboratori.

Lo stesso Perotto sembrava preoccupato, temendo che la nostra attività in questa malaugurata ipotesi sarebbe stata cancellata, essendo la visione strategica della GE assolutamente ancorata alla soluzione time sharing del mainframe e terminali remoti per decentrare le applicazioni aziendali. E quindi come lui stesso racconta cercò di far in modo di non essere particolarmente gradito agli interlocutori della GE. Di fatto il suo gruppo rimase in Olivetti a occuparsi delle applicazioni periferiche dell’elettronica in una situazione iniziale di totale isolamento aziendale, tant’è che Perotto un bel pomeriggio di agosto arrivò a Pregnana con la sua Rolex e scattò, “a futura memoria” (sono parole sue), quelle poche foto ormai divenute storiche.

Agosto 1964: da sinistra a destra, seduti Perotto e De Sandre; in piedi Garziera e Toppi

La cosa curiosa è che io e Garziera abbiamo vissuto con totale noncuranza il clima di incertezza e delusione del momento, completamente assorti nella gara a cronometro del nostro lavoro che si concretava di giorno in giorno in modo esaltante con la messa a punto del prototipo finale iniziata a luglio. Come ci sentivamo? Come Topolino apprendista stregone nel film Fantasia, in bilico tra meraviglia e ansia, ma per la nostra avventura si stava profilando un incredibile lieto fine. La macchina cominciava a vivere coronando gli sforzi, le incertezze, ma soprattutto il piacere di realizzare una impresa tanto sognata; potevamo essere i primi.

Non tutto era però filato liscio prima della presentazione della macchina al dr. Roberto e agli alti dirigenti della Olivetti nell’ottobre 64.

L’architetto Zanuso era stato incaricato dal dr. Roberto del design già verso la fine del 63 ma il rapporto del progetto con lo stesso e i suoi collaboratori, per quanto cordiale, non era stato facile. Probabilmente la ricerca di un design particolarmente originale finiva col prevalere rispetto alle esigenze e vincoli ergonomici obiettivi della macchina.

Sta di fatto che dopo alcune proposte iniziali il dr. Roberto aveva accettato una soluzione bivalente che prevedeva la possibilità di operare sia con la macchina disposta su una scrivania, sia con la stessa disposta a lato dell’operatore e appoggiata direttamente sul pavimento. Per assicurarne la stabilità, in questo caso si sarebbe però dovuto aggiungere un basamento pesante che avrebbe allungato e appesantito la macchina e reso di fatto non praticabile il passaggio da una posizione all’altra. Francamente questa soluzione non convinceva né il progetto né i commercialbi, ai quali era stato richiesto informalmente un parere.

Verso giugno del 1964, all’inizio della messa a punto del prototipo finale, Perotto prese la difficile decisione di ritornare alla disposizione studiata inizialmente e predisporre una carrozzeria del tutto provvisoria, ma indicativa, della soluzione che si sarebbe dovuto attuare.

Lo scontro col dr. Roberto è stato inevitabile; alla fine, fortunatamente, le ragioni del progetto hanno finito col prevalere. Non fu però solo fortuna, ma grande lucidità e fermezza dell’ing, Perotto.

Il nuovo design, affidato poi dal dr. Roberto all’architetto Mario Bellini, si incanalava immediatamente nella giusta direzione e si concludeva con una immagine molto piacevole e originale che contribuiva decisamente a valorizzare la macchina.

 

A sinistra il prototipo finale (la perottina); a fianco la Programma 101 “vestita” da Mario Bellini

 


Il lancio al BEMA di New York nell’ottobre del 65

Dopo la presentazione ufficiale alla prima linea dei dirigenti Olivetti nell’ottobre del 1964, in un clima di grande euforia nel progetto, ma piuttosto tiepido a livello del nuovo vertice insediato poco prima della cessione della Divisione Elettronica con il mandato di riportare l’Olivetti sulla retta via della meccanica, il coinvolgimento aziendale si era comunque impennato bruscamente.

Mentre il progetto logico era sostanzialmente finito, (gli abbiamo solo fatto fare una minuziosa cura dimagrante rivedendolo nel dettaglio ed eliminando circa 60 transistor) da un lato iniziava la fase di avviamento in produzione, dall’altra la preparazione del lancio commerciale per il quale era stata decisa la presentazione alla esposizione della BEMA (Business Equipment Manufacturers Association) di New York nell’ottobre 1965.

Per la macchina era stato scelto il nome Programma 101 che rifletteva bene la sua caratteristica più importante, e anche perché suonava bene in inglese con accento americano.

Qui va evidenziato il contrasto palese di intenti tra chi aveva sposato la causa della P101 (pochi ma autorevoli, il dott. Roberto, Capellaro, Piol e la linea aziendale ufficiale.

Una parentesi: Elserino Piol è stato un personaggio chiave nella storia dell’Olivetti, che definire vulcanico è ancora riduttivo. Ha percorso tutta la parabola, dai primi anni 50 alla fine, ricoprendo incarichi operativi importanti nella Olivetti Bull (che commercializzava le macchine a schede perforate), nella Divisione Elettronica, nella Pianificazione e nel Marketing e infine con De Benedetti anche nell’attività di Venture Capital.

Era prassi in Olivetti che il lancio di nuovi importanti prodotti ad una grande esposizione fosse preceduto qualche giorno prima da una conferenza stampa, curata dai responsabili del lancio del prodotto. Pochi giorni prima dell’apertura del BEMA la P101 era stata presentata alla stampa USA in una immensa sala conferenze di un grande albergo di New York; troneggiava su un tavolo nel palco centrale, davanti ad una foltissima platea di giornalisti e invitati.

Dopo la descrizione iniziale delle caratteristiche funzionali e delle prestazioni, il presentatore annunciò che la macchina avrebbe calcolato le coordinate della posizione di un satellite nell’orbita ellittica intorno alla terra in diversi istanti successivi; introdusse la cartolina magnetica con il programma ed i dati iniziali e dopo due o tre interminabili secondi la macchina cominciò a stampare i risultati, proiettati direttamente su un grande schermo. Un applauso scrosciante concluse la dimostrazione a cui seguì una fittissima serie di domande e poi un resoconto sulla stampa con commenti molto positivi, spesso entusiasti, confermati poi negli articoli di recensione del BEMA

Mi potevo ormai considerare promosso da apprendista a stregone.

Al BEMA la macchina era invece stata presentata inizialmente piuttosto in sordina, più con l’intenzione di sondare le reazioni di un mercato evoluto per un prodotto non convenzionale, che con la convinzione e volontà di sfondare. Il posto di primattore era riservato alla Logos 27, la nuova calcolatrice meccanica su cui l’azienda puntava per rinnovare le proprie fortune economiche.

Il successo di pubblico della P101 è stato travolgente. Dopo qualche iniziale diffidenza, qualcuno chiedeva se la macchina fosse collegata ad un computer nascosto, questa si tramutò presto in sorpresa. Lo stand più affollato di tutta l’esposizione era quello Olivetti, dove un pubblico meravigliato ed entusiasta chiedeva informazioni e voleva misurarsi con la P101 nell’Angela Game, un semplice ma attraente gioco programmato nella stessa, costringendo l’Olivetti a rivedere frettolosamente la strategia di presentazione.

La presentazione della P101 al BEMA di NY è stata un successo immediato e clamoroso di pubblico che la stampa Usa ha evidenziato sottolineando tutti gli aspetti innovativi essenziali della macchina: la semplicità di utilizzo, le dimensioni ed il costo adeguati alla fascia bassa di un mercato potenzialmente enorme.

Il senso di quanto la P101 sia stata percepita come la soluzione adeguata di un problema aperto, la abissale distanza tra le macchine da calcolo meccaniche che facevano le quattro operazioni e i grandi calcolatori adatti solo a risolvere i problemi gestionali o tecnici di grandi organizzazioni, è ben riflesso nell’attacco dell’articolo apparso sul New York Journal-American del 25 ottobre 1965: “potremo vedere un computer in ogni ufficio anche prima che ci siano due auto in ogni garage”.

Era nata la nuova filosofia dell’informatica individuale; un nuovo filone di prodotto, versatile per eccellenza, si affiancava ai primi piccoli sistemi elettronici specializzati, le fatturatrici, le contabili, i primi terminali, e, con 15 vnni di anticipo, era già a pieno titolo il precursore del PC. All’epoca la P101 era stata definita “the first desktop computer in the world”.

A sinistra, Presentazione a NY (1956) – A destra, Utilizzo alla NASA (1969) (da Archivio Storico Olivetti – www.storiaolivetti.it)


(segue)

 

 

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