di Gianni Di Quattro

Carlo De Benedetti

Ed allora nel 78 nel mese di maggio tutto diventò ufficiale, il Consiglio di Amministrazione prese atto che Carlo De Benedetti era il nuovo azionista di riferimento, lo nominò amministratore delegato, azzerò i precedenti vertici. In un grande evento alla presenza di tante aziende di rilievo del paese, a Venezia in una cornice fantastica (la Fondazione Cini di cui allora Visentini era Presidente), fu presentato a tutti il nuovo patron della Olivetti.

Di una Olivetti che ormai si era allontanata definitivamente dalle visioni di Adriano e manteneva tuttavia ancora un certo fascino per essere stata quello che era stata, per essere stata a livello internazionale una delle aziende più innovative del secolo passato. Un caso straordinario che dice quanto grande era il fascino dell’azienda di Adriano ai suoi tempi.

Tanti ancora si avvicinavano alla Olivetti sapendo di non trovare più il passato, ma per sentire ancora il profumo di quello che questo passato era stato. Per cercare di capire da quelli che il passato lo avevano vissuto e capito cosa era successo, come era stato possibile che i sogni di un uomo e di tanta gente fossero naufragati senza che nessuno abbia cercato o abbia avuto il potere di cercare una continuità.

Il periodo di Carlo De Benedetti alla Olivetti si può dividere in due fasi distinte. La prima lo ha visto impegnato full time; ha tentato di mantenere il management esistente senza cambiamenti importanti, cercando di motivarlo alla svolta che intendeva dare all’azienda. Grazie all’aumento di capitale, alla monetizzazione di tutte le proprietà a livello mondiale, alla rinegoziazione delle pendenze con le banche, al fatturato che cominciava a girare meglio grazie ai diktat, travestiti da inviti, dell’ingegnere a tutti i titolari di budget di vendita. Ma, soprattutto, grazie ai nuovi prodotti che cominciavano ad essere presenti sul mercato, dopo l’opera straordinaria di Beltrami e della Bellisario nel quinquennio precedente e di cui molti trascurano i meriti, mentre molti si attribuiscono immeritatamente questi meriti, come capita sovente nella vita.

In questa prima fase l’azienda andava bene, il fatturato arrivava, le spese erano sotto controllo, le quotazioni in borsa crescevano, Carlo De Benedetti era sempre presente. Certo l’azienda si era lasciata alle spalle il passato, faceva finta di essere ancora la Olivetti di Adriano ma ne era ormai molto distante. Era stata lasciata libera la Direzione Pubblicità di Renzo Zorzi perché serviva a fare ammoino sul mercato e a fare finta che eravamo belli, bravi e diversi, quasi come prima. L’ingegnere fece fuori Marisa Bellisario, un po’ per far posto al fratello Franco e un po’ per dar retta alle voci di Ivrea che non vedevano l’ora di vendicarsi di lei che li aveva stressati negli ultimi cinque anni.

Vittorio Cassoni

A questo punto l’ingegnere comincia a pensare che alcuni giornalisti ruffiani che scrivevano che lui aveva risanato la Olivetti avevano ragione. Ed allora, seconda fase, comincia ad occuparsi di altro, proteso a sfruttare il suo momento favorevole e così nascono operazioni di borsa, alleanze più o meno coerenti con qualsiasi visione, iniziative presuntuose spesso andate a mal partito.
Nello stesso tempo l’ingegnere pensa di ristrutturare l’azienda, promuove amministratore delegato Vittorio Cassoni, un brillante ex dirigente IBM come tanti altri che in questo periodo entrano in Olivetti per occupare posti strategici. Lo autorizza a cambiare l’azienda, a spaccarla in divisioni specializzate per prodotti e/o mercati sull’esempio di tante aziende americane del settore poi quasi tutte scomparse, escluso la IBM che però ha tentato con successo la strada della conversione dai prodotti ai servizi.

L’operazione è stata cosparsa di lacrime e sangue, i fatturati sono scesi, le spese sono aumentate, la conflittualità interna è esplosa, i clienti non sapevano più con chi parlare, la Olivetti era diventata irriconoscibile. Inoltre, vengono promossi a posti di responsabilità commerciale sia in Italia che all’estero persone un po’ improbabili; Ivrea, intesa come apparato di ricerca e di produzione riacquista potere e centralità, inventa visioni eporediesi che magari sono al di fuori delle tendenze di mercato e che sprecano enormi quantità di denaro. Il capo del personale diventa Mario Caglieris, vecchio dirigente affezionato all’azienda, uomo che si diceva stava dietro ad ogni nomina o strategia importante, vicino al Presidente Visentini, certamente non esperto di personale; capire gli uomini non era mai stato il suo mestiere.

Elserino Piol

Il management non ci si raccapezza più, tende a rallentare, non capisce che tipo di autonomia ha, si dedica alla gestione giorno per giorno, non è in grado di contrastare né l’ingegnere, né i suoi uomini, né il presidente Visentini che dopo circa venti anni di ruolo e di potere decide di lasciare, forse perché capisce che l’azienda sta scivolando e che nessuno ormai la può fermare. Nel disastro di prodotti, finanziario, organizzativo, di decisioni sballate su uomini, Elserino Piol offre una mano all’ingegnere spostando l’interesse principale verso le telecomunicazioni che, alla fine, hanno dato un po’ di respiro e di lustro all’azienda.

Anche se sono state lo strumento con il quale Roberto Colaninno, amministratore delegato chiamato dall’ingegnere dopo esperienze con Corrado Passera e Francesco Caio su cui è meglio sorvolare per non infierire, è riuscito a comprare Telecom Italia dando in cambio la Olivetti a parziale quota di pagamento.

Ecco, quando la Olivetti divenne Telecom Italia (2003) è esattamente la sua morte ufficiale e tutto il precedente si può definire agonia, lunga e faticosa agonia. Nel frattempo non solo Visentini se ne è andato, ma anche molti dirigenti come Franco Tatò per esempio, il famose Franz il terribile come i giornali lo definivano per la sua capacità di licenziare senza alzare neanche un sopracciglio. Elserino PIol era stato mandato via da Francesco Caio, che temeva potesse fargli ombra, che potesse condizionarlo in qualche modo. Gli altri alti dirigenti si sono dispersi, tutti si sono dispersi.

Di chi la colpa della fine della Olivetti? Ad un certo punto l’azienda non è stata più gestita, è stata usata per altre operazioni come scenario di fondo nella migliore delle ipotesi, il management si è seduto impaurito, sono stati introdotti dirigenti di altre aziende che non hanno avuto successo, sono state fatte nomine molto improprie, Ivrea continuava a volere condizionare l’azienda come se gli anni non fossero passati senza considerare le condizioni professionali e tecniche dell’azienda stessa e del mercato. Alla fine hanno mollato tutti.

Naturalmente quando l’azienda è morta era ormai irriconoscibile e forse questo è stato un bene, per evitare di affermare che era morto il sogno e la visione di Adriano che era morto tanto tempo prima e che Carlo De Benedetti cercò di utilizzare come una reliquia senza riuscirci e soprattutto con persone che mancavano di coraggio.

Una brutta storia del nostro paese e un disastro culturale enorme!

 


2001: Odissea nello spazio

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