di Gianni Di Quattro

Dopo la morte di Adriano tante voci si scatenarono contro di lui sostenendo che aveva sbagliato, aveva fatto il passo più lungo della gamba, perché aveva investito per comprare in America la Underwood, una vecchia e storica azienda di prodotti per ufficio, mentre continuava ad investire nella operazione elettronica. Queste voci, non proprio amichevoli, lo accusavano di megalomania, di non avere capito che non sarebbe stato in grado di gestire le due operazioni e di avere spinto troppo il bisogno finanziario della impresa. E le banche italiane non amavano alla follia Adriano anche se non potevano non riconoscere il suo sviluppo.

Tra queste voci naturalmente c’era quella della Fiat nella persona del suo amministratore delegato Vittorio Valletta che era uno dei soci più importanti del gruppo di intervento che fu fatto per salvare la Olivetti (anche Pirelli, Assicurazioni Generali, Banca d’Italia) proprio dopo la morte di Adriano. Fu lui, magari con qualche soddisfazione di parecchi dirigenti di Ivrea, a decidere di cedere il settore elettronico alla General Electric. La Fiat fece un favore alla azienda americana che conosceva bene e con cui era in rapporti di affari e che aveva già comprato la Bull francese avendo deciso di entrare nel settore elettronico per ufficio (allora non si chiamava ancora informatica), concorrenti come la IBM tirarono un sospiro di sollievo perché era comunque un pericolo meno in prospettiva (la fine di Adriano non li aveva fatto piangere tanto), tanti dirigenti di Ivrea furono contenti perché non avevano mai visto di buon occhio il settore che era nato al di fuori del loro controllo e criticavano i soldi spesi per questo (la lobby di Ivrea che Adriano tacitava con il suo carisma e che aveva alzato la testa). La politica fece finta di niente (non ci fu nemmeno una interrogazione in Parlamento da parte di qualcuno per caso) perché Adriano non era un amico e non era un sostenitore di questo o di quello (e criticava pure), i sindacati costantemente scavalcati a sinistra dalla politica di Adriano sprofondarono in un silenzio che era più omertà, i media non esistevano allora e per la verità non hanno fatto molti passi avanti.

Adriano pensava che una azienda che si occupa di automazione e organizzazione dell’ufficio doveva necessariamente seguire un percorso di sviluppo tecnologico avanzato e continuo per rimanere competitiva. Per questo aveva favorito la nascita della Olivetti Bull, una azienda al 50% tra Olivetti e Bull francese, per fare esperienza nel settore dell’automazione avanzata e cominciare a selezionare personale per il futuro. Nello stesso tempo dopo avere finanziato per un certo tempo tramite il fratello minore Dino un laboratorio elettronico a New Canaan nel Connecticut, il cui direttore era Mike Canepa, e che aveva prodotto alcune parti poi utilizzate dalla Università di Pisa nella CEP (la calcolatrice elettronica pisana), decise, anche su suggerimento di Enrico Fermi, di creare il Laboratorio di Ricerche Elettroniche inizialmente con sede a Barbaricina vicino Pisa affidato a Mario Tchou convinto dal figlio Roberto a lasciare l’insegnamento alla Columbia University per venire in Italia. In pochi anni fu progettato e creato l’Elea 9003, la prima macchina completamente transistorizzata al mondo (il 1401 IBM venne dopo, subito dopo, ma dopo). Anche in pochi anni (circa dodici includendo circa dieci di esistenza della Olivetti Bull) si ottennero grandi risultati sul mercato, quando la Divisione Elettronica (che aveva fra l’altro inglobato la Olivetti Bull che si era sciolta) fu venduta dal gruppo di intervento aveva, tra impianti meccanografici ed elettronici, circa mille installazioni sul mercato italiano.

Ma Adriano pensava che faceva parte della stessa visione, dello stesso progetto la presenza sul mercato americano. Significava prestigio, fiducia, conoscenza, possibile apertura sul mercato più grande in quel momento a livello mondiale. Pensava anche che l’effetto eco sarebbe stato importante in ogni paese dove ormai la Olivetti operava.  La Underwood sembrò una opportunità, era una azienda storica ed un nome conosciuto, aveva una rete vasta di concessionari e in qualche modo era presente in tutta l’America, certo era ridotta male ma si poteva aggiustare lavorandoci con i buoni prodotti Olivetti e qualche manager di qualità come nel gruppo ce ne erano.

Allora i due progetti erano integrati e non separati, non erano frutto solo di occasioni, ma di riflessioni. Certo servivano capitali, ma anche se Adriano non era visto come un amico, si aveva stima da parte di molte banche anche straniere nel suo lavoro e nella sua visione. I bilanci della azienda comunque andavano bene e così è stato anche dopo la morte di Adriano. Le difficoltà di cui parlarono tutti e in primis il gruppo di intervento e soprattutto in ambiente Fiat erano solo finanziarie ed allora piuttosto che dare una mano, garantire e continuare una visione si preferì vendere, tagliare. E così si cambiò l’azienda, da quel momento non era più l’azienda di Adriano (era esattamente quello che volevano) anche se per un po’ il suo modo di interpretare l’azienda rimase, alcuni uomini cercarono di continuare il suo spirito, ma sempre scivolando inizialmente piano piano e poi accelerando verso l’omologazione con altre aziende e ambienti. Sino alla fine quando ormai i meriti erano seppelliti tra i ricordi.

 

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