di Gianni Di Quattro

Non c’è relazione apparentemente tra la bella stagione della primavera e la vecchia Olivetti, quella di Adriano. Ma nella primavera si sogna di più, saltano fuori i ricordi, capita rileggere un vecchio documento, insomma ci sono tanti motivi per ripensare ad Adriano Olivetti ed al suo sogno. E poi la primavera è il simbolo della bellezza della natura, della vita, dei colori, del coraggio ed anche per questo in qualche modo la primavera richiama la Olivetti di Adriano. Naturalmente è giusto precisare che ci si riferisce alla Olivetti di Adriano perché quelle dopo di lui, sono state aziende normali, belle ma normali, forse un po’ meglio di altre perché hanno sfruttato gli effetti nel tempo della magia di quella immaginata e realizzata di Adriano.

Voglio raccontare per ricordare una decisione di Adriano che, secondo me, dimostra il suo modo di interpretare una impresa.

Ai primi anni 50, Adriano con la Olivetti lanciata verso il successo grazie ai prodotti, alla sua politica e alla sua immagine, cominciò a pensare al futuro della impresa. Ecco la prima considerazione, pensare al futuro sempre anche quando il successo spinge a lasciarsi andare. Aveva studiato il mercato americano e le sue tendenze, aveva consultato importanti scienziati, come Enrico Fermi per esempio, e consulenti e aveva capito che il futuro di una azienda come Olivetti era l’elettronica da una parte e l’ingresso nel settore chiave della organizzazione aziendale attraverso i sistemi di elaborazione dati. Per avere futuro e per entrare davvero nei sistemi imprenditoriali, logica conseguenza di tutte le intuizioni e del   percorso della Olivetti.

Decise quindi di realizzare una società insieme alla Bull francese, all’epoca ai vertici del settore macchine a schede perforate in Europa, al 50%. La società doveva servire a capire il mercato, a creare una struttura tecnica e organizzativa nel settore commerciale, tecnico e applicativo che era evidentemente lontano dalla struttura tradizionale Olivetti, la general line come si chiamava all’epoca. Doveva servire forse soprattutto a cercare e coinvolgere talenti assolutamente fondamentali per il futuro. La società fu creata sotto la direzione di Marcello Ceccoli in un primo tempo, sostituito successivamente   da Ottorino Beltrami. Ceccoli lasciò per occuparsi di un altro settore importante e cioè quello della piccola automazione aziendale (le macchine contabili) e il collegamento della meccanizzazione periferica con i sistemi centrali di elaborazione (in Olivetti questo settore si chiamò meccanizzazione integrale). La Olivetti Bull (questo il nome della nuova società) ebbe un grande successo sotto la guida di Beltrami ed in dieci anni circa creò una struttura umana di grande qualità e competenza (Elserino Piol fu uno di questi) e si assicurò una presenza sul mercato rappresentata da circa 700 impianti presso aziende medio grandi.

Nel contempo, Adriano decise di investire nella ricerca e progettazione dei grandi sistemi elettronici. Questo al di là del punto di osservazione che aveva creato a New Canaan nel Connecticut affidato al fratello Dino. Cercò il responsabile cui affidare il progetto con la collaborazione importante del figlio Roberto e fu individuato Mario Tchou, nato a Roma perché figlio dell’ambasciatore cinese in Italia e Professore alla Colombia University. Sotto la direzione di Tchou ( convinto a venire in Italia) fu avviato un Laboratorio di Ricerche a Barbaricina presso Pisa dove in poco tempo si creò un gruppo importante e di grande valore tecnico professionale e con la collaborazione della Università di Pisa fu realizzato il primo  prototipo di quella che poi fu la serie Elea 9003. Questo Laboratorio si trasferì successivamente a Borgolombardo alle porte di Milano ( c’era bisogno di spazio e poi bisognava stare in un centro dove era più facile reperire personale e dove erano allocate quasi tutte le aziende del settore).

La storia va avanti e in tempi successivi dalla fusione di Olivetti Bull e del Laboratorio di Borgolombardo come della produzione che intanto era stata avviata a Caluso e infine del Servizio Calcolo Elettronico creato per la commercializzazione degli Elea e affidato a Elserino Piol, nacque la Divisione Elettronica. Questa operazione fu fatta dopo la morte prematura di Adriano (1960) e quella successiva di Mario Tchou (1961), per iniziativa di Roberto Olivetti che intanto aveva preso la responsabilità di tutto il settore. La morte di Adriano fu naturale ( ma non mancano le ipotesi) e quella di Tchou fu dovuta ad un incidente stradale.

Interessante notare come Adriano pensava alla evoluzione della sua Azienda e che è l’esempio più significativo di quanto era un imprenditore illuminato. Dimostra anche che Adriano pensava di sviluppare il settore elettronico al di fuori di Ivrea, che considerava troppo legata alla meccanica ed i cui manager non avrebbero accettato con facilità altri manager con perdite del loro potere e avrebbero potuto creare difficoltà nello sviluppo dell’azienda. Pensieri che si sono realizzati tutti, la Divisione Elettronica fu venduta per un pezzo di pane per volere del gruppo di intervento che intanto aveva preso la Olivetti, ma si sa anche per consigli ed opinioni che venivano dal management di Ivrea ( che finalmente si liberava dell’elettronica che accusava di essere solo fonte di perdite come se il futuro sarebbe stato uguale al presente). Per la trasformazione aziendale della meccanica in elettronica si sono dovuti aspettare circa dieci anni, sino al 1971 quando fu nominato amministratore delegato Ottorino Beltrami che con la collaborazione di Marisa Bellisario la realizzò in soli cinque anni. (poi arrivò De Benedetti che costrinse Beltrami a dimettersi e che cacciò la Bellisario che divenne subito dopo capo della Italtel).

Questa storia, sinteticamente tracciata, ci dice varie cose. Adriano gestiva una azienda di successo e non smetteva di documentarsi sul settore nel quale operava, aveva una grande visione del futuro, si serviva di consulenti di grande valore scientifico per prendere decisioni, era fortemente innovativo, conosceva a fondo la sua impresa anche umanamente, considerava il patrimonio umano il vero valore, era molto coraggioso. La sua morte prematura ha interrotto un grande percorso che forse avrebbe portato la Olivetti e lui stesso ai vertici di una esperienza internazionale di grandissimo valore e unica, è stato un vero peccato per la Olivetti e forse anche per il paese ma anche per tutto il settore a livello internazionale che intanto cresceva. I suoi eredi (azionisti e manager) non sono stati certo all’altezza, bisogna ammettere che era difficile e l’ambiente era tappezzato di conservatorismo e di egoismo.

Share This