di Gianni Di Quattro 

Le statue dei quattro cavalli in bronzo sulla basilica di San Marco a Venezia sono là dal tredicesimo secolo provenienti dall’ippodromo di Costantinopoli e prelevati durante il saccheggio perpetrato dagli uomini della quarta crociata. Ora non ci sono più gli originali perché sono dagli anni 80 nel museo della Basilica per preservarli dall’usura che era stata riscontrata molto accentuata e al loro posto ci sono delle perfette copie.

Io, nei primi anni 80, ero in Messico impegnato a dirigere quella consociata, incantato da un paese meraviglioso, da gente di grande simpatia e affabilità, preoccupato dal lavoro da fare e incerto se io potevo avere le capacità per farlo. Ricordo tanti amici conquistati come Enrico Pozzo, mio predecessore, un gentiluomo umbro ormai da anni in America Latina e poi Claudio Landucci un viareggino che aveva sposato una bella e importante messicana, Vittorio Sacchi lo spigoloso e molto professionale direttore amministrativo ed ancora tanti altri. Quando sono arrivato la consociata veniva da un periodo tradizionale con tanta gente, tante filiali, procedure altrettanto tradizionali in un mercato che, come altri e soprattutto come quello vicino nordamericano, che tanta influenza aveva professionalmente e metodologicamente su quello messicano, era in fase di profonda trasformazione. Bisognava sfoltire, ridurre, ma non perdere in aggressività sul mercato ed anzi se possibile accentuarla trovando e potenziando altri canali e trasformando il mix dei prodotti venduti aumentando quelli di maggior valore, come quelli che nella azienda si chiamavano sistemi e cioè i prodotti per l’informatica. A proposito della vicinanza degli Stati Uniti ricordo il detto che era molto popolare in Messico almeno allora e cioè che il problema atavico del paese era di essere tanto lontano da Dio, mentre era tanto vicino agli Stati Uniti.

Mentre ero in Messico sono stato chiamato da Renzo Zorzi per comunicarmi che l’azienda aveva deciso di organizzare e sponsorizzare un mostra dei cavalli di San Marco proprio in Messico con tutta la pompa che bisognava dare a questo avvenimento di grande rilievo anche internazionale e che la consociata avrebbe dovuto impegnarsi per la riuscita dell’evento programmato per la tarda primavera di quell’anno. Conoscevo poco Renzo Zorzi, lo stimavo molto, ero al corrente del suo passato, del suo modo di essere colto, della sua produzione letteraria, del suo lavoro in Olivetti ormai da tanto tempo e cioè da quando dovette sostituire Riccardo Musatti, un intellettuale meridionale molto vicino ad Adriano Olivetti scomparso prematuramente, lasciando la gestione della rivista Comunità. Sapevo naturalmente anche della sua amicizia antica con Bruno Visentini, il Presidente, risalente ai tempi della Resistenza veneta, e con il quale era anche corregionale.

Ricordo in quella occasione diversi incontri con Zorzi, sempre di grande gradevolezza e cene in Messico a parlare di arte, di cultura, di persone, di umanità insomma. Una grande impressione, una bella persona, sono stato e sono ancora adesso felice di averlo conosciuto da vicino e di avere avuto l’occasione di scambiare riflessioni ed idee. Penso che è bello che esistano simili persone e che è merito di chi riesce ad inserirle in un suo progetto come era riuscito a fare Adriano. Certe cose che succedono nella vita non sono insomma casuali e non succedono a tutti e sempre.

Passammo mesi dunque sovrapponendo al nostro lavoro, quello per la preparazione della mostra dei cavalli di San Marco al Museo di Arte Moderna di Città del Messico al Bosco di Chapultepec, ottenendo adesioni importanti, la partecipazione all’inaugurazione del Presidente del Messico, Josè Lopez Portillo, e di tanti rappresentanti del mondo culturale e artistico messicano. I messicani furono felici della opportunità, amano l’Italia e le cose belle e amano essere nelle cose che contano. Lopez Portillo è stato un grande Presidente in quel paese ed è stato, fra l’altro, quello che ha nominato per la prima volta nella storia del paese una donna ministro, Rosa Luz Alegria. La cosa fu considerata giustamente talmente straordinaria. Circolava una storiella in merito un po’ simpatica, un po’ irrispettosa e anche un po’ machista. In una finta intervista alla nuova Ministro le veniva chiesto cosa aveva provato, quale emozione aveva avuto quando il Presidente glielo aveva comunicato e lei rispondeva che era rimasta talmente felice e sconvolta che era caduta dal letto.

I giorni della mostra arrivarono rapidamente con tutto quello che c’era da fare. Uno dei primi ad arrivare dall’Italia fu il patriarca di Venezia, il cardinale Marco Cé, accompagnato dal suo segretario Monsignor Valerio, in fondo i cavalli erano suoi e giustamente veniva a vedere cosa ne stavamo facendo o volevamo fare. Il cardinale arrivò con il Concord, che ancora nell’80 volava prima di essere ritirato definitivamente, siamo andati in aeroporto a prenderlo e sfortunatamente la sua valigia e quella di Monsignor Valerio si erano perse, forse scaricate indebitamente a Houston dove il Concorde faceva scalo. Lo abbiamo accompagnato in albergo e poi velocemente in città a comprare accessori per toelette, pigiami, biancheria intima, camicie e altro necessario per non fare avvertire ai nostri ospiti la mancanza delle proprie cose, nell’attesa di rientrare in possesso delle proprie valigie. Con il cardinale abbiamo trascorso giorni molto simpatici, lui era una persona di grande classe, mentre monsignor Valerio era un gran simpaticone, una specie di parroco popolare e di grande empatia. Abbiamo simpatizzato infatti ed a dimostrazione del bel rapporto che si era creato, ricordo che in occasione di un mio viaggio in Italia fui, insieme a mia moglie Beatrice, invitato a colazione a Venezia dal cardinale nei locali della canonica. È stato quello un pranzo che ricorderò sempre per gli ambienti che erano ancora pieni della presenza del papa Roncalli, che era stato patriarca prima del cardinale Ce, e per i deliziosi piatti preparati e serviti dalle suorine che ci hanno ricevuto e assistito, senza dimenticare un meraviglioso vino bianco francese.

Ma naturalmente arrivarono anche i vertici Olivetti e cioè Carlo De Benedetti che si fermò solo due giorni e Bruno Visentini, accompagnato dalla sua signora, che invece rimase per tutta la settimana.

Carlo De Benedetti volle naturalmente vedere i nostri locali e un paio di importanti banchieri. Ricordo un episodio simpatico durante l’incontro con uno di questi banchieri. Eravamo stati invitati alla colazione mattutina (il desayuno) come si usa in Messico spesso e che consiste non solo in pane, caffè, latte e brioches o biscotti, ma anche in cibi più consistenti come carne o salsiccia, fagioli cotti in vari modi e salse, diverse salse messicane di cui almeno un paio molto, ma molto piccanti. Attorno ad un gran tavolo, perfettamente e riccamente imbandito nella sede della Banca, eravamo seduti circa otto persone con Carlo De Benedetti accanto ovviamente al Direttore Generale, Josè Pintado, anche principale azionista della stessa banca. Ad un certo punto l’Ingegnere si serve di non ricordo cosa, credo della carne alla griglia, e prende una salsina da mettere sulla carne. Ne prende una dal colore rassicurante, un verde scuro, ma che io conoscevo essere tremenda, fortissima voglio dire. Ho cercato disperatamente di lanciare segnali con gli occhi, con le mani, in tutti i modi consentiti dal bon ton, per dire a Carlo De Benedetti di non prendere quella salsina, ma non ci sono riuscito. La morale è che l’ingegnere è stato malissimo tutto il giorno per cercare di spegnere un fuoco che lo aveva letteralmente divorato. Lo stesso giorno al ricevimento di inaugurazione della mostra, ho presentato Carlo de Benedetti al Presidente messicano e alla sua signora, incontro andato benissimo e molto interessante per la nostra azienda. Certo la Signora Portillo fece una grande impressione all’ingegnere che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e meno male che era indisposto causa salsina, per cui tutto alla fine è andato benissimo. Il giorno dopo Carlo De Benedetti è partito lieto del suo blitz messicano, salsina a parte, ma non Bruno Visentini che rimase con noi ancora qualche giorno.

Abbiamo accompagnato il Presidente in giro per la città e abbiamo apprezzato la sua continua curiosità per il passato del paese, la sua storia e la sua arte. Lo abbiamo accompagnato anche nei ristoranti della città e ricordo ancora le colazioni self service al Camino Real, allora il miglior albergo della città ed un posto stupendo molto messicano come stile e con un murale meraviglioso di Rufino Tamayo, il suo interesse per il tavolo dei dessert che lo vedeva accostarsi più volte con visibile piacere. È stata interessante la permanenza di Bruno Visentini in Messico. Il Presidente se ne andò dopo pochi giorni come anche i cavalli per tornare a Venezia, la loro città, anche se in un tempo lontano Napoleone aveva tentato di farli diventare francesi.  Il viaggio di ritorno dei cavalli fu il loro ultimo, perché, come abbiamo detto, da allora sono stati accolti al Museo della Basilica e non si sono più mossi. Il Presidente rimase molto contento della sua visita e di come lo abbiamo assistito, come ha avuto occasione di scrivermi in un simpatico biglietto appena rientrato in Italia e per un invito a colazione nella sua splendida villa veneta in occasione di una mia presenza in Italia. Un pranzo che io e mia moglie ricordiamo con grande piacere per l’ambiente, per la cordialità della famiglia Visentini nei nostri confronti e la loro classe e per un davvero delizioso risotto.

Piccole storie provocate da importanti cavalli, il destino è davvero imprevedibile!

 

 

 

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