di Gianni Di Quattro

Non avrei potuto dire che Firenze era come mi aspettavo che fosse perché non lo sapevo, ma posso oggi dire che sapevo di sentire che era bella e che mi sarebbe tanto piaciuta. La prima volta l’ho vista quando sono arrivato da Palermo, appena assunto per fare il corso di formazione commerciale. La stazione, l’odore dell’aria, le vie piccole e strette, la sua aria provinciale, l’emozione di immaginare i tesori che racchiudeva, la bellezza delle ville di lord Acton date alla Olivetti per realizzare una scuola nella forma del college hanno da subito confermato il giudizio che sentivo.

Il corso era duro fino ad un certo punto, più che altro era necessario abituarsi a vivere in college, ai metodi con i quali studiare come cercavano di farci fare, affrontare una materia e cose di cui prima non avevo alcuna idea. Non pensavo che si potesse parlare così tanto di macchine per scrivere e di macchine da calcolo, non pensavo che una marca di un simile prodotto potesse essere così tanto diversa da un’altra. Ci insegnavano non solo i prodotti, ma anche le tecniche di vendita magari di tipo semplificato secondo me e come forse era necessario per dei giovani assolutamente privi di esperienza come eravamo, il modo di vivere in gruppo, le relazioni con i capi. C’erano ore dedicate anche alla Olivetti in generale (poche secondo me), alla sua organizzazione, al funzionamento di una filiale.

Si lavorava dal mattino alle cinque del pomeriggio e quindi ogni giorno c’era il tempo per vedere Firenze, poi nel week end eravamo impegnati solo il sabato mattina. E così con alcuni amici del corso giravamo, andavamo a vedere mostre e musei, opere e bellezze, abbiamo visto non tutto quello che ci sarebbe stato da vedere ma quanto basta per essere sempre più prigionieri del fascino di Firenze. Una città che era un Granducato, che ha alle spalle una grande storia, con grandi famiglie e con uomini che sono stati importanti nel cammino della civiltà e anche più recentemente nella storia della democrazia.

A Firenze da allora ci sono tornato molte volte per corsi, per lavoro, per incontrare gente, per vedere amici e tutte le volte è stato un tuffo al cuore, la dimostrazione di un amore mai interrotto.

Ricordo il secondo corso di formazione dopo circa un anno dal mio ingresso in Olivetti, quello chiamato per capigruppo, quando il direttore della scuola, Guido Alessandri uno dei grandi manager narcisi dell’epoca, decise di bocciarmi dicendo che non ero adatto a fare una carriera di capo. In questo secondo corso con alcuni amici comunque andavamo a vedere angoli nascosti della città, a goderci gli storici bar come quello delle giubbe rosse in piazza della repubblica (o Piazza Vittorio come la chiamano ancora i vecchi fiorentini), amici come Sergio Bonapace (le nostre strade di lavoro si sono spesso incrociate e siamo comunque rimasti vicini sino alla sua fine prematura purtroppo) e Roberto Allegri, un simpatico ligure di Serravalle ma genovese di adozione che lasciò quasi subito l’azienda per andare a fare l’avvocato, professione per cui era molto adatto e nella quale avrà avuto certamente fortuna.

La prima volta per lavoro sono tornato a Firenze come direttore di filiale della Divisione Elettronica per sostituire Luciano Marradi, la Filiale era ancora in Via dei Servi (prima dell’alluvione del 66), la competenza era tutta la Toscana, frequentavo spesso Siena (Monte dei Paschi) ma non solamente. È stato un periodo breve ma molto bello. Avevo convinto a venire con me l’amico Piero Nelli che avevo conosciuto quando ero in Lombardia, ma che era fiorentino, lo stimavo molto e si era tra di noi anche instaurata un solida amicizia e questo è stato molto importante per la Filale perché Piero ebbe molto successo. Ma con lui andavamo in posti strani, sconosciuti ai più, riservati ad amici come piccoli angoli dove si mangiavano cose di grande bontà, giravamo insieme la Toscana che Piero conosceva come le sue tasche. Con Piero siamo rimasti sempre amici, abbiamo spesso incrociato le nostre idee e ci siamo sempre aiutati, era un uomo gentile, di grande umanità, scaltro e leale, intelligente e dotato di grande ironia come ogni buon toscano di razza.

La seconda volta per fare il direttore della Filiale Olivetti, di tutta la Olivetti. La sede non era più nella vecchia tradizionale Via dei Servi, dopo l’alluvione l’azienda aveva costruito una bellissimo palazzotto (architetto Galardi) in Via santa Caterina d’Alessandria all’angolo con i viali. La filiale era nella storia della azienda, era stata una delle prime, aveva visto importanti direttori che poi avevano avuto ruoli di primo piano nel gruppo in Italia e all’estero, era stata gestita da un gentiluomo abruzzese naturalizzato fiorentino, Giulio Colagrande, per circa venti anni, molto del personale non era più molto giovane, il compito era rilanciare immagine, fatturato, entusiasmo, conquistare nuovi clienti, spostare l’asse del fatturato verso prodotti sistemistici, più sofisticati di maggior valore e di maggior margine.

Alla fine e in breve tempo ce l’abbiamo fatta, grazie agli amici e collaboratori che ho trovato in Filiale. Con alcuni come Mauro Buonaiuti è nata un’amicizia che continua, con tanti altri ci siamo poi persi, il mio ricordo è sempre vivo e grato nei loro confronti per l’aiuto che mi hanno dato e per il modo come me lo hanno dato.

Tutto insomma ha contribuito a rafforzare il mio amore per Firenze, ogni volta che ci sono andato è stato per inseguire una opportunità o fare un bel lavoro, tutte le volte ho conosciuti buoni e cari amici, posti incredibili per la simpatia e il gusto, per le bellezze che sicuramente mi hanno aiutato a capire e a pensare quello che penso della vita e della umanità.

 

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