segue: Ritorno ai Progetti a Ivrea – 1978 / 1984

La linea di prodotti da realizzare, battezzata Linea Uno, cominciava in basso con un elemento di architettura a sé: un piccolo calcolatore desk top per uso personale a floppy disk denominato M20, con microprocessore Zilog, già in sviluppo da parte di un gruppo creato in Silicon Valley, a Cupertino, a due passi dalla sede storica della Apple. Gli elementi superiori della linea, destinati a chiamarsi M40 e M60 (più un futuribile M80 multiprocessore), erano invece ancora in fase di impostazione, ed al momento del mio arrivo era proprio in atto la scelta del microprocessore da adottare, tra le linee Intel 8000, Zilog 8000 e Motorola 68000.

Fu chiesto il mio parere e, sulla base di considerazioni relative al livello di evoluzione architettonica delle diverse linee, votai Motorola e in ordine decrescente Zilog e Intel. Ma poiché i campioni dei chip Motorola avrebbero tardato di un paio di mesi, Pesatori girò la scelta su Zilog. A posteriori tutti sanno che avevamo sbagliato entrambi, pur senza colpa, dato che non potevamo prevedere il futuro.

A cambiar le carte in tavola ci avrebbe pensato infatti circa un anno dopo l’IBM, svelando i suoi Personal Computer con microprocessori Intel. Il mercato senza esitazioni dette ragione a questa scelta, benché fosse ancora a quel tempo la meno evoluta. Quando questo avvenne noi eravamo già partiti, e per la parte alta della Linea Uno non pensammo neppure di tornare indietro; del resto una scelta hardware diversa dall’IBM, per quella fascia di prodotti, per la quale una compatibilità IBM non rientrava neppure tra gli obiettivi pensabili, non implicava penalizzazioni immediate.

Il problema si sarebbe posto però nel tempo in termini di evoluzione delle prestazioni: mentre infatti l’Intel ebbe a disposizione, a seguito della scelta IBM, larghissimi mezzi per far evolvere architettura e prestazioni della sua linea, la Zilog praticamente arrestò i suoi sviluppi, e per noi cominciò ad accumularsi uno svantaggio crescente.

Le cose andarono diversamente per la fascia bassa: nonostante al momento dell’annuncio dei PC IBM l’M20 fosse già stato lanciato con un buon successo, i colleghi di Cupertino capirono immediatamente, come tutti gli altri attori del mercato, la necessità di cambiare strada: in tempi assai brevi realizzarono con un microprocessore Intel l’M24 e fu dimenticato l’M20. In questo caso fortunatamente per ripartire bastava l’hardware: infatti, essendo l’M24 un PC IBM compatibile, tutto il software del mercato mondiale era a disposizione.

Grazie a questo prodotto l’Olivetti si posizionò per vari anni ai primi posti nella classifica dei produttori di Personal Computer: anni dopo festeggiò l’uscita del milionesimo esemplare di M24, tutto placcato d’oro. Nessun’altra generazione di prodotti elettronici Olivetti aveva superato prima il livello di vendite di alcune decine di migliaia di pezzi. Peccato che oltre all’IBM tutti i concorrenti avessero dei PC compatibili sostanzialmente equivalenti, e quindi si dovessero vendere gli M24 a poco più del costo di produzione!

Ma ritorniamo un’ultima volta al 1980 ed alla parte superiore della Linea Uno, per parlare di software. Per questo capitolo, che pesava almeno l’90% degli sviluppi, era stata trovata l’ispirazione in California, dove Pesatori aveva scovato già qualche mese prima del mio arrivo un guru informatico, Jerry Popeck, che sosteneva come linguaggio di programmazione del futuro il Pascal. Si era cominciato quindi subito a sviluppare a Cupertino un compilatore Pascal, orientato poco dopo, al momento della scelta del microprocessore, a generare codice per Z8000.

Osnaghi, nostro responsabile dei progetti software, aveva anche tracciato con Popeck le linee architettoniche di un nuovo sistema operativo denominato MOS. Si trattava di scelte avanzate ineccepibili su un piano accademico, ma nell’adottarle non si era considerato che un ambiente software completamente nuovo comportava significativi costi e rischi in termini di tempi di sviluppo e di prestazioni. Ma soprattutto comportava una prospettiva di difficoltà e tempi lunghi di avviamento sul mercato proprio per la novità, cioè per la mancanza di compatibilità con qualsiasi prodotto preesistente.

Credo di essermi reso conto ben presto di questo problema, come molti altri in azienda, ma ho veramente percepito la sensazione del tunnel in cui ci eravamo cacciati un anno dopo quando, in occasione di una delle review mensili dei progetti di Cupertino, ricevemmo con Pesatori, Osnaghi e Popeck la visita di un giovanissimo venditore di software che, avendo saputo cosa stavamo facendo, ci propose, letteralmente, di “non perdere tempo e soldi” a sviluppare il Pascal e il MOS quando lui poteva venderci a modico prezzo qualcosa di equivalente bell’e pronto.

Si trattava del linguaggio C e dello UNIX, prodotti proprietari dell’AT&T, fino a quel momento dati in licenza agli utenti a caro prezzo (noi li stavamo installando nei computer della software factory proprio per gli sviluppi della Linea Uno), ma così noti alla comunità informatica che era già iniziata l’attività di università e piccole aziende per derivarne versioni a costi accessibili. Il “piazzista” che ci era venuto a dire che ci sbagliavamo e che avremmo dovuto valutare la sua alternativa si chiamava Bill Gates … allora un giovanotto sconosciuto che non aveva ancora trovato sul suo cammino un cliente come l’IBM.

Il mio capo e i miei collaboratori decisero che sarebbe stata una follia dar retta a quel ragazzo, trattenendomi mentre cominciavo a dire: “facciamo almeno due conti …”. Ovviamente avevano delle buone ragioni, poiché è normale che, avendo raggiunto posizioni di rilievo sulla base di scelte tecniche rispettabili, non volessero rimettere in gioco, con quelle scelte, le loro stesse posizioni. D’altra parte anch’io avrei rischiato la mia posizione se avessi insistito, contro di loro, a valutare un’alternativa, quindi dovetti lasciar perdere: purtroppo però in questo modo mancammo l’occasione per abbandonare una strada costosa, rischiosa e strategicamente sbagliata. Fu così che mi trovai per alcuni anni a gestire con il massimo impegno un budget annuale di oltre 20 miliardi di lire, guidando un progetto la cui impostazione mi convinceva poco.

I rischi di progetto si manifestarono innanzitutto con sconfinamenti del MOS dalla memoria disponibile: a quei tempi la RAM si misurava ancora in Kbyte, e né i 32K previsti inizialmente, né 64K si rivelarono sufficienti per il MOS, considerando che per servire a qualcosa doveva lasciare un po’ di posto a qualche applicazione. Comunque tenemmo duro e adattammo velocemente l’hardware, espandendo la memoria, per seguire il software.

Si accumularono poi dei ritardi significativi rispetto ai piani previsti nello sviluppo del MOS e, a catena, di tutti i componenti software da esso dipendenti: compilatori, protocolli di comunicazione, ecc. E tutto questo non per incapacità dei progettisti, che erano i migliori allora disponibili, ma semplicemente perché nelle scelte di impostazione si era trascurato il semplice principio che se un’impresa è ignota si può verificare se sia veramente possibile (e quanto effettivamente possa costare e durare) solo provando a compierla!

I problemi furono resi molto più duri dal fatto che l’organizzazione commerciale Olivetti, ansiosa di ricevere i nuovi prodotti, aveva cominciato a venderli, almeno a qualche cliente, per le scadenze programmate. Credo che in questo non ci sia molto da scandalizzarsi: l’Olivetti non è stata certamente l’unica azienda al mondo che ha venduto prodotti ancora sulla carta; ma la differenza è che normalmente si offrono in anticipo prodotti con una certa similitudine rispetto ai precedenti, mentre in quel caso, come in quello già raccontato prima dell’SDC, si navigava in buona parte in un mare sconosciuto.

Ricordo parecchi voli con i Cessna ed il Learjet dell’Eurofly di De Benedetti a Tel Aviv, dove la Bank Leumi aveva ordinato quella che sarebbe stata l’installazione pilota della Linea Uno col MOS, per gestire, a fianco di Vittorio Cassoni, gli incontri del responsabile commerciale Salomon Suwalsky e del sistemista locale Franco Donati col cliente, giustamente preoccupato per i problemi che il progetto mostrava. Talvolta capitò anche di dover triangolare direttamente da Tel Aviv a Copenhagen, per continuare a svolgere la stessa funzione verso l’SDC. Comunque, con gran impegno e fatica, ce la facemmo a far partire gli israeliani, così come i danesi.

A fronte dei tempi lunghi di sviluppo del MOS, l’azienda cominciava a rischiare verso fine ‘81 di non poter utilizzare il nuovo hardware, che era già producibile e che, essendo molto competitivo (da questo punto di vista le promesse di Pesatori non solo erano fondate, ma erano state sostanzialmente mantenute), stava rendendo improponibili i vecchi prodotti. Per superare la prospettiva terrificante di un buco nelle vendite si presentò però fortunatamente un’opportunità: il mio ex collega al Marketing Achille Puerari, che si era messo in proprio aprendo un paio di piccole software house, venne a presentarmi di sua iniziativa uno studio di fattibilità che indicava la possibilità di realizzare sull’hardware della Linea Uno un emulatore del TC800.

Dovetti farmelo dimostrare, perché per esperienza credevo poco alla possibilità di ottenere degli emulatori perfetti fino all’ultimo dettaglio (un emulatore o lo è o non serve) e allo stesso tempo con buone prestazioni, ma con la verifica mi convinsi e chiesi a Puerari non solo di partire a testa bassa, ma di valutare anche la possibilità di emulare in modo simile il BCS2000 e, pur con minor priorità, il P6060. Riuscii questa volta a convincere l’azienda a dirottare una frazione del budget disponibile su questo filone, ed entro l’82 gli emulatori furono pronti.

Con essi iniziammo finalmente ad installare gli M40 e gli M60 dovunque era possibile farlo in sostituzione, ampliamento e potenziamento della larga base installata dei nostri prodotti preesistenti. Lo sviluppo del MOS, di gran lunga il più oneroso, continuò comunque, anche perché come ho detto a proposito di Bank Leumi era diventato un impegno verso alcuni clienti, ma per diversi anni le installazioni di Linea Uno in emulazione furono molto più numerose di quelle con il software nativo basato sul MOS ed aiutarono, assieme all’M24 e ai suoi successori, a sostenere l’azienda.

Nell’84 si erano praticamente concluse le fatiche più dure dei progetti descritti in questo capitolo, anche se continuavamo ad essere assillati dai ritardi di qualche componente software dipendente dal MOS e dalle conseguenti giustificate recriminazioni.

Ma per non farmi restare tranquillo neppure un momento si verificò l’ennesimo rivolgimento aziendale: mi fu annunciato che Pesatori non era più il mio capo. Il nuovo capo esordì a gamba tesa comunicandomi l’intenzione di rivoluzionare l’organizzazione dei progetti che mi era affidata: voleva separare in Divisioni indipendenti l’area dei PC da quella dei medi sistemi. Io risposi che avrei fatto esattamente il contrario, visto che i volumi di mercato dei PC, i conseguenti bassi costi di produzione e gli incrementi di potenza derivanti dagli investimenti che quei volumi attiravano, li stavano spingendo ad occupare le fasce superiori di mercato.

Ormai i terminali bancari ed i piccoli sistemi gestionali erano costituiti in prevalenza da PC e, considerando il mercato dell’Olivetti, i medi sistemi avrebbero dovuto essere tutti rivisti in chiave di super – PC e PC – server, per non essere tagliati fuori dal mercato. Ma non ci fu trattativa. Nel giro di pochi giorni, pur di non subire una riorganizzazione che consideravo strategicamente sbagliata, chiesi di cambiar mestiere. (In effetti la riorganizzazione prevista non fu poi attuata: forse avevo avuto troppa fretta e avevo solo facilitato il vero obiettivo, cioè la messa a disposizione del mio posto).

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