L’Elea 9002

Dopo il successo della Zero Mario Tchou ottenne di realizzare un secondo prototipo, la Elea 9002 in tutto simile alla Zero in quanto ad architettura di sistema e a tipologia di componenti, ma questa volta vestita bene da Ettore Sottsass in modo che potesse essere mostrata al pubblico con lo scopo di iniziare una penetrazione commerciale.

L’architettura della prossima macchina tutta a transistor, l’Elea 9003, era intanto già ben definita, solo che per costruirla a Barbaricina non sarebbe bastato lo spazio esistente e inoltre in loco non c‘era la disponibilità di componentistica e di imprese terziarie occorrenti alla sua produzione, perciò nella primavera del 1959 ci trasferimmo a Milano. I Laboratori di progettazione e la produzione si insediarono in una fabbrica già esistente a Borgolombardo, piccolo centro alla periferia Sud di Milano, allora in mezzo alla campagna e affianco del Re de’ Fossi, il collettore fognario del Sud Milano, ben frequentato da grosse pantegane.

La 9002 era costruita dentro armadi dai piedi alti e di colore nero opaco, perciò l’elettronica all’interno era tutta ad altezza d’uomo per riparare più facilmente gli eventuali guasti. In alto correvano delle strutture metalliche scatolate, se non sbaglio anodizzate d’azzurro, simili alle blindosbarre che si usano nelle fabbriche per le alimentazioni elettriche ai posti di lavoro, ma qui servivano a far passare in modo ordinato i numerosi cavi che portavano i segnali da un armadio a un altro. Queste blindosbarre erano tenute alte con dei tondini di acciaio che si dipartivano dai quattro angoli di un armadio per convergere nel punto di sostegno.

Una mattina si scoprì che qualcuno aveva steso dei fili tra i tondini e ci aveva legato sopra degli uccellini di carta colorati, volendo far intendere che a lui quella struttura dava l’idea di una gabbia per uccelli. A quell’epoca non si aveva ancora un’idea di che cosa fosse l’industrial design, e non si sapeva che Sottsass sarebbe stato uno dei suoi precursori grazie alla lungimiranza di Adriano Olivetti, che voleva che tutte le sue produzioni fossero belle a vedersi.

Contrariamente alle idee dell’ornitologo, anche la 9002 era molto bella, pulita con le sue porte di spesso alluminio anodizzato argento e le teste sporgenti delle viti a brugola di colore nero che le tenevano a posto. Ettore Sottsass aveva disegnato una tastiera componibile fatta da cubetti colorati con colori tenui, ognuno dei quali poteva svolgere la funzione di tasto, di interruttore o di portalampada per le lucine al neon, queste sempre molto efficaci nel far intendere ai visitatori che la macchina stava “pensando”.

Anche il mio governo della stampante – che intanto non era più la lenta Bull ma una Shepard americana che ero andato a comprare apposta negli USA – si era rifatto il guardaroba e faceva il suo figurone messo lì, in una saletta di lato all’Elea 9002 dal quale riceveva le pizze di nastro magnetico per la stampa dei risultati. La Shepard era fatta per stampare 900 righe al minuto. Aveva un rullo lungo abbastanza per contenere 120 posizioni di stampa per ognuna delle quali erano riportati a rilievo tutti i diversi caratteri, lettere e numeri. Martin aveva avuto un’idea geniale. Aveva fatto ripetere sul rullo due volte le dieci cifre dei numeri in posizioni opposte, perciò in mezzo giro li trovava certamente tutti. Dovendo stampare solo numeri, questo accorgimento consentiva di andare a 1200 righe al minuto.

La Shepard aveva un grosso difetto: non teneva l’allineamento dei caratteri sulla riga a causa di certe dispersioni magnetiche, perciò leggere il suo stampato faceva girare un po’ gli occhi. Ma ad Ivrea stava provvedendo.  Ponzano, un simpatico e intelligente ingegnere che avrebbe sviluppato una stampante basata sugli stessi principi della Shepard ma senza i suoi difetti.

A quell’epoca le specifiche di prodotto sufficienti a soddisfare i bisogni del mercato non erano di moda. Ci era stato chiesto di fare una stampante molto veloce capace di produrre in chiaro la gran quantità d’informazioni che il calcolatore produceva in poche ore di funzionamento, e noi l’avevamo fatta, ma non bastava, perché doveva fare anche i “salti”. Me lo fece notare, in verità in modo un po’ brusco, Elserino Piol. Il signor Piol era un perito industriale che lavorava nella Direzione commerciale della Olivetti Bull e credo avesse avuto l’incarico di studiare i problemi per il lancio sul mercato della Elea. Tra questi problemi c’erano i salti di carta del processo di stampa.

Nell’impiego amministrativo si doveva scrivere su moduli prestampati con foratura laterale per il trascinamento e non si scriveva mai su tutta la riga, ma solo dove serviva e tra una riga stampata e l’altra potevano esserci più righe vuote che bisognava “saltare” con un trascinamento veloce. Allo scopo il programma di stampa su nastro magnetico dava l’indicazione di inizio e fine del salto. Niente di difficile a fare con l’elettronica, bastava solo saperlo; ma Piol me lo fece notare in modo un po’ sfottente e la cosa mi diede fastidio. Poiché ogni modifica da apportare ai prodotti doveva essere approvata da Tchou, ne parlai al Capo ma gli chiesi chi fosse questo Piol che era venuto a parlarmene. In effetti Piol aveva ragione, ma lui non poteva immaginare che noi non avessimo alcuna idea di che cosa fosse il mercato con i suoi bisogni. Tchou invece si seccò, chiamò Piol e dovette fargli una girata delle sue.

Ancora oggi a distanza di tanti anni, quando mi capita di incontrare Elserino mi rinfaccia questa storia. Si vede che Tchou deve averlo messo ben in riga; ma non era stata questa la mia intenzione quando ne parlai a Tchou, ma lui era uno strenuo difensore dei suoi collaboratori. Piol ha poi fatto una brillante carriera in Olivetti, dove è rimasto fino alla sua fine.

Non avevamo ancora finito la 9002, che venne l’indicazione di trasferirla in Via Clerici perché avrebbe avuto la visita dell’allora Presidente della Repubblica Gronchi. L’Olivetti si stava ormai muovendo nel calcolo elettronico con tutta la sua abilità nel comunicare al pubblico.

Per un intero mese prima della visita presidenziale fummo assediati dai Servizi Segreti che mancò poco non ci guardassero anche nelle scarpe. Pochi giorni prima venne una troupe della televisione con dei funzionari del Quirinale a stabilire il percorso che avrebbe fatto Gronchi. Il Presidente voleva essere ripreso solo di lato e solo da un lato, ma non ricordo quale. Forse da quel lato si considerava poco telegenico; a me la cosa apparve come un vezzo non adatto a un Presidente, ma allora avevo ancora una certa
considerazione del nostro mondo politico.

Mi pare di ricordare che per l’occasione i soliti Mondino e Desperati  fecero due programmi per colpire l’immaginazione del nostro Presidente. Il primo lo faceva giocare a tris con la macchina e naturalmente lo faceva vincere, il secondo faceva intonare all’altoparlante del calcolatore la marcetta dal film “Il ponte sul fiume Qwai”, che allora andava per la maggiore. Non si è saputo se Adriano Olivetti abbia osservato anche in quell’occasione che quello era un modo un po’ costoso di fare musica, ma se non l’ha detto l’ha certamente pensato.

Il Presidente fece anche un fugace passaggio da noi per vedere la stampante fuori linea, e rimase colpito dalla sua velocità. Strinse la mano a tutti e silenziosamente andò via. Qualcuno molto reverente al fascino presidenziale disse che non si sarebbe più lavato le mani per una settimana, ma quello non fui io.

Sul settimanale “Epoca” venne fuori un articolo su di noi con una fotografia di Mario Tchou insieme con tutti, nessuno escluso. L’IBM aveva lanciato a quei tempi una campagna pubblicitaria basata sul concetto che loro costruivano il futuro. La risposta della pubblicità Olivetti nel presentare la 9002 fu: “Da noi il futuro è già cominciato”.

Intanto a Borgolombardo fervevano i preparativi per l’uscita dell’Elea 9003, la prima calcolatrice elettronica al mondo con componenti tutti allo stato solido.

L’avevamo fatta noi, i ragazzi di Barbaricina. ** segue

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