Passano gli anni e allontanano molti di noi dalle nostre esperienze di lavoro, dalla Olivetti, azienda intelligente e affascinante, che abbiamo frequentato per tanti anni. Una azienda che ci ha fatto scoprire un modo diverso di fare impresa, che ci ha insegnato come essere professionali e competitivi pur senza venir meno al rispetto e che ci ha abituati a vivere in un ambiente dove c’è sempre stata intelligenza e dove la cultura non era derisa e allontanata per principio, una azienda che spendeva tempo e risorse per cercare i talenti, mentre altri tendevano ad espellerli perché considerati motivi di turbamento della organizzazione e del vivere aziendale.

Passano gli anni, la Olivetti non esiste più, ne esiste un simulacro che fa finta di essere erede di una tradizione, ma che può vantare di avere solo il suo nome, di cui è venuto in possesso in seguito ad operazioni finanziarie e di ingegneria contabile.

E, purtroppo, anche molti di noi non ci sono più, ci hanno lasciato, mentre altri si sono rannicchiati nei loro covi più o meno ameni. Rimane dunque un pugno di veterani. Un pugno di veterani che ancora resiste attaccato alla vita, attaccato al valore del proprio passato, alla azienda che è stata l’opportunità del proprio percorso.

Dunque questi veterani ci sono, anche se il loro numero tende alla riduzione, e si fanno sentire in tanti modi, su Facebook o con altri siti similari in cui tanti lasciano pensieri, ricordi, fotografie, raccontano episodi ed esperienze. Sono presenti con varie associazioni da quella storica delle Spille d’Oro a tante altre come per esempio “olivettiani” che rilascia di tanto in tanto una newsletter con notizie che ci riguardano e che ha organizzato negli ultimi dieci anni un raduno autunnale con mediamente un centinaio di partecipanti felici di incontrarsi, rivedersi, salutarsi e ricordare seppure solo per qualche ora tra un aperitivo e un dessert momenti comuni; amici con i quali si sono condivise tante giornate di lavoro e tante avventure.

Ma la domanda è, come ci si sente ad essere veterani? Da una parte si è orgogliosi per avere una certa età, per ricordare il proprio lavoro che vuol dire la propria vita e gli amici incontrati appesi alla stessa, di continuare a ripensare ad episodi, situazioni ed esperienze in modo positivo a prescindere dal successo formale conseguito e dalle posizioni aziendali ricoperte. E dall’altra parte, tuttavia, si è come invasi da una leggera foschia che continua a salire e che in sostanza è la tristezza di ciò che è finito. Una tristezza doppia, perché riferita ad una situazione personale del tempo passato e del traguardo finale in vista o quasi e della fine di quello che è stato per tanti anni il nostro mondo.

La fine di questo nostro mondo tanti di noi lo hanno capito, hanno capito come e perché è avvenuto, sono riusciti a dare il peso giusto alle varie vicende ed anche ai vari responsabili se così si può dire di questa rovina, ma ancora oggi è come se non volessero prenderne atto, come se non volessero credere a quello che è successo.

E queste sensazioni sono rafforzate dal fatto che tanta gente oggi, magari senza sapere bene le cose e quello che è successo, celebra il mito della Olivetti e di Olivetti. In un periodo in cui si avverte la necessità di avere più intelligenza nelle imprese, più intelligenza e cultura per fare affari e per creare scenari economici, politici e sociali di rilievo, si avverte il contrasto tra quello che è stato distrutto e quanto di esso oggi servirebbe come esempio e come metodo per fare salti in avanti nella società e non solo economica.

In altri termini, è bello sentirsi veterani di una vicenda come quella della Olivetti e sperare di esserlo ancora per molto tempo, ma allo stesso tempo è una sofferenza perché non è facile far finta di non avere capito tutto quello che è avvenuto, di non immaginare quello che avrebbe potuto essere e rappresentare, non pensare agli spunti che ha offerto alle interpretazioni di oggi al mondo della tecnologia e del modo di fare impresa, alle miserie di quanti nel paese hanno remato contro per non avere capito e per avere potuto sottomettere e magari quanti all’interno dell’azienda stessa sono stati trascinati da ambizioni o da presunzioni sfrenate danneggiandola non importa se coscientemente o incoscientemente.

Comunque io sono felice di essere un veterano Olivetti.
GdQ

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