di Gianni Di Quattro                                       

Della Olivetti, e in particolare di Adriano Olivetti, è stato detto, scritto e rappresentato forse non tutto, ma tanto. Forse alcuni punti non sono ancora chiarissimi, come la vendita della Divisione Elettronica alla General Electric, la vendita dell’azienda a Carlo De Benedetti dopo diversi anni dalla morte di Adriano da parte del Presidente Bruno Visentini, sul come sia stato possibile che l’ultimo amministratore delegato, Roberto Colaninno, abbia potuto realizzare l’operazione di acquisto della Telecom Italia dando a parziale pagamento la Olivetti ed effettuando il saldo, con fantasia e artificio, grazie alle disponibilità finanziarie della stessa Telecom Italia; e divenendo nel contesto lui stesso azionista della Telecom Italia e amministratore delegato.

Sono convinto che prima o poi alcuni particolari dei vari casi potranno emergere e si riuscirà a chiarire. È importante, infatti, perché l’operazione Colaninno rappresenta formalmente la data di morte della Olivetti.

Ma sul racconto Olivetti, a prescindere, sono tante le riflessioni che si possono ancora fare, che si continuano a fare e che si faranno.

Adriano Olivetti era convinto sin dall’inizio che l’elettronica rappresentasse il futuro della impresa e non solo perché glielo aveva suggerito Enrico Fermi, ed era altresì convinto che bisognava investire nel settore e bisognava farlo fuori da Ivrea. E questo malgrado un punto strategico della sua visione fosse l’importanza del legame della impresa con il territorio. Questo aspetto è un indicatore fondamentale per capire la Olivetti, soprattutto dopo la morte dello stesso Adriano, ed è poco considerato. I suoi piani erano studiati e verificati da tempo, con la collaborazione di suo figlio Roberto, da sempre grande e fondamentale protagonista in questa vicenda. Per questo aveva creato negli USA il Laboratorio Elettronico di New Canaan, Massachusetts, diretto da suo fratello Dino, e guidato da Michele Canepa. E, allo stesso tempo, aveva avviato in Italia una azienda operante nella elaborazione automatica dei dati, divisa al 50% con la Bull francese, allora una delle più importanti e avanzate imprese del settore in Europa, denominata Olivetti Bull, per cominciare a capire come lavorare, acquisire clienti, creare strutture, formare personale e manager, insomma conoscere il mercato e accreditarsi.

La Olivetti Bull fu guidata all’inizio da Marcello Ceccoli e quasi subito dopo da Ottorino Beltrami. Successivamente fu avviato il Laboratorio Elettronico di Barbaricina, vicino a Pisa, con la cui Università esisteva già un rapporto di collaborazione (la CEP), diretto da Mario Tchou, che aveva lasciato l’insegnamento alla Columbia University per inseguire il sogno Olivetti. Fondamentale fu il trasferimento di questo Laboratorio da Barbaricina, diventata insufficiente per dimensioni, a Borgolombardo. Perché Borgolombardo? Per avere una sede vicina alle migliori vie di comunicazione, per le relazioni che intanto si erano avviate con il Politecnico di Milano e poi con la Università di Milano, perché Milano era considerata l’area in cui più facile sarebbe stato reperire personale già formato o comunque predisposto e interessato.

Un primo pensiero. Se invece di scegliere Borgolombardo, vicino a Milano, la Olivetti avesse scelto un’altra location, per esempio in Piemonte anche se non proprio a Ivrea, il ruolo della Lombardia nell’informatica negli anni successivi sarebbe stato lo stesso? Quando il Laboratorio Elettronico di Borgolombardo fu, anni dopo, fuso con la Olivetti Bull, nel frattempo completamente acquisita dalla Bull, e con il Servizio Calcolo Elettronico, guidato da Elserino Piol e dedicato alla commercializzazione degli Elea, per creare la Divisione Elettronica, la struttura era costituita da migliaia di persone, gli impianti funzionanti nel paese erano circa mille fra elaboratori e macchine a schede perforate. In Lombardia c’erano già la IBM di Segrate e l’Euratom di Ispra e con la Olivetti Divisione Elettronica, in seguito divenuta General Electric e poi Honeywell, si costituì in quella regione un centro di sviluppo della informatica, attirando altre aziende estere decise a operare nel mercato italiano, richiamando giovani da tutto il paese, sensibilizzando le sue varie Università ad investire nel settore. Per la Lombardia, dunque, la Olivetti e la elettronica sono stati un elemento importante del suo sviluppo negli anni successivi.

Un secondo pensiero. Se Olivetti non avesse deciso di investire nella elettronica, l’informatica nel paese avrebbe avuto lo stesso percorso e negli stessi tempi? Questo è un ulteriore tema di grande interesse, poco approfondito. Sicuramente lo sviluppo sarebbe stato lo stesso, ma certamente i tempi sarebbero stati molto più lunghi. In altri termini, il mercato sarebbe stato diverso perché Olivetti rappresentò la vera concorrenza alla IBM, ai suoi prezzi, alle sue condizioni, al suo modo di gestire e interpretare il mercato. Uno stimolo per la creazione del mercato informatico italiano. Penso che la automazione di molte aziende si sarebbe ritardata e questo avrebbe potuto avere un peso nello sviluppo globale dell’economia del paese, soprattutto negli anni 50 e 60, anni chiave per il suo sviluppo in generale e della stessa informatica in particolare.

Altri pensieri. Come mai quando fu venduta la Divisione Elettronica della Olivetti, il paese non manifestò alcun interesse? Niente dai sindacati, nulla dal sistema economico, nessuna interrogazione in Parlamento, poco rilievo nei media. Fu avversione verso Adriano, una specie di vendetta verso di lui morto,  per essere stato diverso, per non essere stato conservatore e allineato? Oppure ignoranza, incapacità di leggere il futuro da parte delle istituzioni e dei responsabili del paese? O più semplicemente superficialità, egoismo, provincialismo? Se ne parla poco e niente, anche perché in questo paese non c’è l’abitudine ad ammettere i propri errori.

Ed ancora. Sempre quando fu venduta la Divisione Elettronica fu veramente la Fiat, che aveva un importante ruolo nel gruppo di intervento nel 1964, a decidere di vendere il settore elettronico o piuttosto il gruppo dirigente di Ivrea cui fu posta proprio dalla Fiat l’alternativa se cedere l’elettronica o la Underwood perché l’azienda non poteva sostenere questi due investimenti e doveva eliminarne uno? Ivrea non aveva mai visto di buon occhio quello che Adriano stava facendo nell’elettronica al di fuori del suo controllo; non protestava perché il carisma di Adriano era una grande barriera, ma potrebbe essersi levata una grande soddisfazione cedendo il settore e pensando di avere vinto, di avere avuto tanta ragione. Se così fosse si potrebbero spiegare tante situazioni successive e capire meglio da dove arrivava il declino dell’azienda.

Altre riflessioni potrebbero riguardare il perché Adriano decise di acquisire la Underwood e perché le tante critiche non riescono a coglierne la vera motivazione e perché decise di rischiare mentre investiva nella elettronica. Forse non è stato incosciente o in preda all’utopia, ma un lucido giocatore al tavolo del futuro. Perché Roberto Olivetti, naturale erede di suo padre sul piano delle idee e delle capacità professionali, fu ostacolato nella sua azione essendo stato nominato amministratore delegato ma a firma congiunta con Bruno Jarach, uomo del sistema di Ivrea considerato un conservatore, e poi fatto fuori attribuendogli responsabilità che non potevano appartenergli? Il Presidente, la famiglia che era a quell’epoca la grande azionista, che non aveva amato Adriano e temeva che Roberto fosse come lui?

Ma c’è dell’altro, non solo in Danimarca. La storia della Olivetti, come tutte le grandi storie, è complicata.

 

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