di Gianni Di Quattro

Ho lavorato tantissimi anni in Olivetti, molti, la maggior parte dei miei amici li ho conosciuti in Olivetti, a parte quelli della gioventù, della scuola, del periodo della vita pieno dei sogni del futuro. Ho la consapevolezza di avere lavorato in una bella azienda, di avere conosciuto, e nel piccolo partecipato se non altro perché ho sempre cercato di capire, ad un esperimento di iniziativa industriale di grande valore nel secolo scorso, l’unica iniziativa, peraltro avversata da tutto il sistema industriale e politico dell’epoca, che ha tentato un riscatto dell’uomo dalla schiavitù del lavoro. Una iniziativa che pensava che la bellezza, la cultura, il rispetto potevano far parte di una impresa, anzi potevano farla crescere, anzi potevano portarla al successo. Una esperienza per dimostrare che il personale di una azienda è una risorsa della azienda e non solamente uno strumento di lavoro, che l’ambiente in una azienda aiuta a vivere l’azienda e la sua gente, molto di più di qualsiasi altra cosa.

Sono passati gli anni da quando ho lasciato la Olivetti e sono passati gli anni da quando la Olivetti non esiste più, esiste solo la sua vecchia partita Iva che ora è quella della Telecom Italia nella quale infatti hanno fatto confluire la azienda di Ivrea in un giro che ha gratificato chi ha comprato, chi ha venduto e ha solo penalizzato la stessa Telecom Italia perché è rimasta con una montagna di debiti e soprattutto la Olivetti che è scomparsa. Ora ne esiste un suo simulacro che niente ha a che vedere e che molti di coloro che l’hanno amata vorrebbero che sparisse, perché sarebbe più serio e coerente, meno triste per tutti.

Comunque, più passa il tempo e più la gente sente il bisogno di capire la Olivetti, di parlare e di sentire parlare di Olivetti. Perché molti ne hanno capito il valore soprattutto con il tempo che è passato, molti hanno capito il delitto che è stato fatto lasciandola morire, molti cercano di capire come è stato possibile.

Naturalmente le ipotesi più disparate si incrociano, ogni tanto si leggono storie, qualcuno fa dichiarazioni certe e qualcun altro si dice informato dei fatti e azzarda altre ipotesi, tra cui non mancano quelle che contemplano vari complotti per vari motivi e a qualsiasi livello.

La fine dell’azienda come la fine di tutte le cose complesse, di tutte le belle cose è dovuta a tanti motivi e a tante persone, naturalmente quelle più importanti sono più responsabili come è giusto, esiste tanta omertà su tanti fatti che hanno caratterizzato gli ultimi anni e gli ultimi uomini di questa azienda. Forse un giorno qualcuno avrà voglia di raccontare e sarà molto interessante.

Quello che conta è che sino alla fine, quando tutto scivolava, quando chi stava dentro aveva capito che le falle nello scafo non erano riparabili, tutti coloro che ci lavoravano, quelli che ci avevano lavorato e che magari erano appena usciti, quelli che ci avevano trascorso qualche periodo anche breve, continuavano a sostenere l’azienda come potevano mascherando come possibile la loro tristezza e cercando in tutti i modi di fare in modo che la dignità non fosse minimamente intaccata, che  nessuno potesse dubitare del valore della Olivetti per quello che era stata e per quello che anche alla fine rappresentava.

* * * * * * * * * * *

Oggi, ormai che il tempo sta coprendo tutto, siamo rimasti noi vecchi reduci di una grande storia che ci riuniamo in associazioni, che organizziamo incontri, scriviamo episodi e ricordi, cerchiamo di mantenerci in contatto, che ci sentiamo e ci parliamo come sempre, come ognuno di noi stesse ancora lavorando per tutti, che condividiamo la tristezza quando sappiamo che uno dei nostri ci ha lasciato. E lasciatemelo dire spesso non diamo retta, non seguiamo ai tanti che ora cercano di appropriarsi di idee o di raccontare loro storie che dicono di provenire dalle esperienze Olivetti.

Perché noi della Olivetti eravamo orgogliosi di esserlo, siamo orgogliosi ora di esserci stati, non solo non dimentichiamo il lavoro fatto e le persone con cui lo abbiamo fatto, ma abbiamo la coscienza di avere vissuto un privilegio in questo squinternato paese, anche quando qualcuno potrebbe avere motivi di malumore per certi trattamenti subiti o per certe violenze che pure ci sono state; perché anche le rose hanno le loro spine.

Share This