Alla manifestazione eporediese per ricordare l’ing. Pier Giorgio Perotto  a venti anni dalla scomparsa erano presenti diversi collaboratori del periodo d’oro della Ricerca e Sviluppo Olivetti. Fra questi l’ing. Giovanni De Sandre, uno dei protagonisti del progetto della Olivetti Programma 101 (spesso individuata anche come P101) che era il fulcro portante dell’incontro (forse mettendo in un po’ in ombra tanti altri progetti creati in quel periodo). De Sandre ha distribuito alcune copie di un fascicoletto in cui ha riassunto i suoi ricordi del tempo, mettendo fra l’altro in evidenza lo spirito di collaborazione, non sempre riconosciuto, fra “elettronici” milanesi e “meccanici” canavesani. Lo riproponiamo sul sito a beneficio dei nostri lettori.


di Giovanni De Sandre

Questo breve racconto esprime la visione di chi ha vissuto l’avventura dal basso, dalla sala macchine della grande nave Olivetti diretta i verso i nuovi orizzonti aperti dalla elettronica, e che per poco, come il Titanic, non è naufragata vicino alla meta.


L’ingresso in Olivetti

Mi sono laureato al Politecnico di Milano a dicembre 59 dopo 5 anni di apnea; non è stato facile. All’epoca invece, la vita era facile per chi cercava lavoro con una buona laurea scientifica: avevo ricevuto diverse offerte di impiego da grandi aziende come Pirelli, Siemens, Eni, Olivetti e altre.

I motivi della scelta sono chiari e semplici:
– attrazione per il settore emergente dei computer
– la sirena dei lab elettronici Olivetti in Usa
– il confronto tra lo stile delle relazioni umane Olivetti e delle altre grandi aziende contattate, impietoso per queste ultime.                                                    

Ho un ricordo indelebile dell’incredibile conclusione del colloquio di ingresso, nei Laboratori Ricerche Elettroniche (LRE) Olivetti di Borgolombardo il primo aprile 1960, con il direttore ing. Tchou:
“Ingegnere, le interessa di più una attività nel progetto o in produzione?”
“Senz’altro nel progetto”.
“Preferisce una attività di estensione di prodotti esistenti o occuparsi di progetti del tutto nuovi?”
“Non vorrei sembrare presuntuoso ma mi piacerebbe molto dedicarmi a nuovi progetti”.

Prese il telefono e cosi entrai nel gruppo dell’ingegner Pier Giorgio Perotto. Non potevo certo immaginare che quella risposta avrebbe deciso il mio futuro professionale.


Il periodo iniziale

Nei LRE il filone portante era quello dei grandi elaboratori Elea; da poco era infatti stata completata la realizzazione dell’Elea 9003, la prima versione completamente transistorizzata. Il mainframe, che incuteva un timore reverenziale nei film di fantascienza dell’epoca; armadi di componenti elettronici, un oggetto molto complesso, la memoria a nuclei e molte unità a nastro magnetico, lettori e perforatori di schede e stampanti ultra veloci, ambienti condizionati e gente in camice bianco, costi astronomici.

Pur essendo la tecnologia elettronica molto costosa, si intravedeva la possibilità di cominciare a realizzare piccole applicazioni a costi ragionevoli ed era stato costituito un gruppo di studio e progetto per applicazioni, che oggi si chiamerebbero di informatica distribuita, affidato all’ing. Perotto.

Egli si era qualificato per questo incarico con la brillante realizzazione di un convertitore banda-schede perforate che creava un ponte essenziale tra le applicazioni meccaniche dell’informatica “periferica”, in cui l’Olivetti era un leader con le macchine contabili Audit, e la nascente elaborazione elettronica dei grandi calcolatori.

Eccezionale il rapporto professionale e umano con Perotto che ha plasmato la mia formazione professionale e maturato in me un senso di profondissima stima per una persona di grande cultura tecnica e capacità imprenditoriale, e di esemplare correttezza nei rapporti personali.
I primi due anni sono stati entusiasmanti in un ambiente di lavoro ideale, di grande valore formativo per il contenuto innovativo delle attività basate sull’emergente tecnologia elettronica e il clima di grande libertà e quindi di coinvolgimento e responsabilizzazione individuale nella realizzazione degli obiettivi assegnati.

Il training iniziale è stato su una macchinetta elettronica che leggeva i caratteri scritti con inchiostro magnetico nella parte bassa degli assegni (i caratteri CMC7 utilizzati ancora oggi).

Poi il progetto di un gruppo elettronico da collegare alle contabili meccaniche per estendere con dieci totalizzatori elettronici i tre totalizzatori meccanici; completato con successo con la realizzazione di due prototipi, ma non utilizzato.
Nel frattempo il Centro Studi di Ivrea (progetti meccanici) stava iniziando il progetto di una nuova contabile meccanica con un maggior numero di totalizzatori inseribili modularmente, soluzione ritenuta più conveniente ma sfortunatamente finita anch’essa nel nulla.
Probabilmente non si erano accorti che il mondo stava cambiando.


Come è nata l’idea della P101

Come mai nei lab non si pensava allo sviluppo di una piccola calcolatrice elettronica?
La risposta alla domanda un po’ ingenua fatta all’ing. Perotto, quando dopo un anno di attività avevo acquisito una qualche conoscenza della tecnologia elettronica, mi aveva introdotto molto concretamente nella economia e strategia aziendale.

Le fortune economiche e il grande sviluppo dell’Olivetti nel dopo guerra era stato determinato in gran parte dalle calcolatrici meccaniche progettate da Natale Capellaro, uno dei progettisti meccanici più prestigiosi, entrato all’Olivetti come operaio e diventato Direttore Generale Tecnico e ingegnere H.C. All’inizio degli anni ‘60 il costo di fabbrica di una Divisumma era di 39mila lire, a fronte di un prezzo di vendita di 390mila lire; con un rapporto prezzo/costo di 10, cosa rara anche nel mondo industriale di allora. Il costo di una eventuale calcolatrice elettronica sarebbe stato enormemente superiore e l’azienda non aveva comunque alcun interesse a cannibalizzare, con una concorrenza interna, il mercato della gallina dalle uova d’oro.

Però…

La tecnologia elettronica era in rapida evoluzione e questa idea ingenua frullava ovviamente non solo nella mente di un giovane progettista alle prime armi, ma almeno anche di Perotto e del dr. Roberto Olivetti, uno dei pochi top manager Olivetti che condivideva la visione strategica del padre Adriano sul ruolo chiave dell’elettronica per l’azienda.

Sta di fatto che nella primavera del ‘62 il dr. Roberto aveva chiesto all’ing. Perotto di avviare lo studio di fattibilità di una macchina da calcolo elettronica, dotata però anche della capacità di automatizzare la sequenza delle singole operazioni con cui si effettuavano i vari calcoli richiesti. La macchina non doveva quindi interferire col mercato della Divisumma posizionandosi in una fascia superiore. Avrebbe dovuto essere alla portata di un utente generico, non esperto di elaborazione dati elettronica e avere dimensioni comparabili con quelle delle macchine da calcolo meccaniche, tipicamente la Divisumma 24. Obiettivo di costo: naturalmente il più basso possibile.


Un progetto entusiasmante

Ti interessa? Mi chiese Perotto, che mi aveva anche presentato le alternative di altre possibili attività, più vicine alla mia esperienza acquisita.

Ricordo che ho risposto d’impulso, senza alcuna riflessione conscia su che cosa sarebbe stato più conveniente per me: moltissimo!

Le “specifiche” non erano poi così vaghe come potrebbe sembrare a prima vista. Qualsiasi ingegnere fresco di Politecnico che aveva usato il regolo per sviluppare i noiosissimi calcoli ripetitivi relativi al dimensionamento delle macchine elettriche o alle strutture in cemento armato, aveva sognato di poter disporre di una macchina che gli automatizzasse in qualche modo il lavoro, senza però dover subire i costi e la complessità delle procedure del grande calcolatore. Ma anche qualsiasi ragioniere o amministratore o l’ufficio tecnico di una piccola azienda, il cui unico strumento di calcolo disponibile era la calcolatrice meccanica, aveva gli stessi problemi.

All’epoca infatti solo le grandi aziende potevano permettersi il lusso di automatizzare i loro processi amministrativi (paghe, fatturazione) o industriali (programmazione della produzione) utilizzando Centri Meccanografici a schede perforate o i grandi elaboratori di recente apparizione. Anche nelle università più importanti l’utilizzo dei calcolatori, necessariamente grandi e costosi, era riservato alle applicazioni di rilievo più complesse.

La programmazione e verifica delle applicazioni era una attività affidata a persone con background tecnico specialistico, esperte del sistema utilizzato. E, al contrario di quanto si potrebbe pensare, tranne per la fase iniziale di impostazione, il lavoro era noioso e frustrante. Il tempo macchina era prezioso e veniva assegnato col contagocce a ogni singolo programmatore che di fatto era “costretto a intuire” il motivo per cui un programma “si piantava” o dava risultai errati e ritornare il giorno seguente o più tardi ancora per riprovare le correzioni.

L’alternativa consisteva nello sviluppo sostanzialmente manuale della applicazioni con l’uso del regolo o delle calcolatrici meccaniche, e nel settore amministrativo di macchine contabili meccaniche che producevano documenti contabili di varia natura (schedoni). La situazione era analoga a quella dei trasporti nei primi anni del 900. Con il treno o con le navi si potevano fare grandi e costosi viaggi, ma per andare dalla periferia di un piccolo paese a quella di un altro lontano pochi chilometri ma non servito dalla rete c’era solo il cavallo o la bicicletta.

Se l’esigenza e l’obiettivo di questa nuova macchina erano quindi molto chiari, altrettanto però non si poteva dire del modo di realizzarla, mancando qualsiasi riferimento a soluzioni preesistenti. Come dire, passeggiando con la ragazza al chiaro di luna: come sarebbe bello andarci. Il problema non era avere l’idea, ma come realizzarla.

Ma cosa mai avremmo dovuto inventare?

Per gente che lavorava nei Laboratori di Ricerche Elettroniche era ovvio che dovevamo realizzare un piccolo computer. Occorreva estendere la funzionalità di una calcolatrice elettronica con la capacità di generare, memorizzare ed eseguire un semplice programma, che essenzialmente risolveva delle semplici formule algebriche, e quindi di “registrarlo su” e poi “leggerlo da” un supporto esterno. E quindi disporre di una memoria sufficiente a memorizzare il programma stesso ed i dati iniziali e intermedi necessari.

Ma allora, la difficoltà dove era?

Banalmente (?) il computer doveva essere piccolo, poco costoso, semplice, anzi semplicissimo da utilizzare, alla portata dell’utente di una Divisumma. Requisiti neanche lontanamente soddisfatti dai più piccoli computer dell’epoca, grandi almeno come un armadio, di costo non inferiore ai 30 milioni di lire, inaccessibili agli inesperti quanto i mainframe.

La semplicità di utilizzo era un requisito cruciale. Per diventare pilota d’aereo occorre una preparazione specifica molto impegnativa che pochi si sentono di affrontare. Per guidare l’automobile basta un po’ di scuola guida e superare un semplice esame, cosa che riesce praticamente a tutti.

Così all’inizio dell’attività, quando con Perotto si pensava all’impostazione del progetto, letteralmente si cominciava sempre con qualche foglio bianco da scarabocchiare.


Il ruolo di Perotto

Perotto è considerato a buon diritto l’autore, il padre della P101.

Senza di lui questa macchina non sarebbe mai nata. E questo non tanto e solo per il suo contributo alla scelte tecniche di base del progetto, comunque importanti, ma ancor più per il suo ruolo tipicamente imprenditoriale nell’indirizzare, sviluppare, portare felicemente a compimento le molteplici attività di un progetto, ignorato fino alla fine da quasi tutta l’azienda.

Va ricordato che all’epoca la pianificazione delle attività, in ambito progetto, era pressoché inesistente.

Sia pure con il tacito appoggio del dr. Roberto e di Capellaro, con il suo carisma è riuscito a coinvolgere nell’impresa un consistente numero di persone da lui non dipendenti, i progettisti della memoria e dei circuiti speciali, i meccanici e un gruppo di ingegneria per la realizzazione della struttura fisica dell’elettronica. I dipendenti di Perotto per questo progetto erano solo il sottoscritto e un collaboratore, e in seguito tre persone che sviluppavano la programmazione sperimentale delle applicazioni per verificare la consistenza del linguaggio in corso di definizione.

Perotto è sempre stato il punto di riferimento brillante, competente, tempestivo, nella prevenzione e soluzione delle molte difficoltà che, come è facilmente immaginabile, emergevano nello sviluppo complessivo di tante attività correlate.

Ha organizzato il gruppo di studio delle metodologie di collaudo dell’elettronica in produzione e di sviluppo dei relativi programmi sul calcolatore IBM 1401  quando, dopo la cessione della Divisione Elettronica alla General Electric, l’Olivetti, totalmente a corto di risorse elettroniche, ha deciso di avviare la produzione della P101.

Di seguito sono ricordati gli aspetti essenziali dello sviluppo la cui soluzione positiva ha permesso di realizzare un sogno: the first desktop computer in the world.


L’elemento cruciale: la memoria

Il primo punto essenziale da risolvere era la scelta della memoria della macchina, determinante ai fini del costo, ingombro e naturalmente della architettura logica interna. Qui si delinea la prima scelta vincente di Perotto.

La tecnologia corrente delle memorie a nuclei magnetici, da poco utilizzata nei grandi elaboratori, aveva costi e dimensioni ancora eccessivi per i nostri obiettivi. E anche le previsioni di evoluzione tecnologica non lasciavano intravedere soluzioni promettenti per il futuro più o meno prossimo.

Rimaneva l’alternativa, psicologicamente poco attraente, di ricorrere a memorie di passata generazione, considerate obsolete; tra queste lo schema del tipo a Linea magnetostrittiva (LMS) sembrava però interessante.

A sinistra il primo prototipo della memoria a linea magnetostrittiva (LMS) e a destra un esemplare di produzione col filo avvolto a spirale

La memoria era realizzata con un filo di una lega di acciaio e nichel. L’informazione era immessa mandando gli impulsi elettrici, corrispondenti ai bit da registrare in successione, in una minuscola bobina di scrittura avvolta ad una estremità del filo; per effetto magnetostrittivo l’impulso elettrico era trasformato in un impulso meccanico che si propagava fino all’altra estremità occupando una piccola porzione del filo, pochi millimetri, in posizioni successive dall’inizio alla fine. Qui l’impulso meccanico era riconvertito in impulso elettrico da una seconda bobina (di lettura) e l’informazione veniva mantenuta reinserendola elettronicamente all’ingresso.

I prototipi iniziali erano stati sviluppati a Borgolombardo ma presentavano intrinseche limitazioni di capacita dovute alla concezione progettuale adottata. Anche i dispositivi di altre aziende europee come Bull e Ferranti avevano lo stesso tipo di problema.

Perotto, prevedendo una situazione di stallo ma sempre convinto della economicità intrinseca della soluzione, fece fare un monitoraggio nel mercato USA e acquistare diversi campioni. Fu una mossa azzeccata. Sia pure in una realizzazione più elaborata rispetto allo schema accennato, la soluzione era attraente non solo per la sua semplicità ma anche perché sembrava ben in linea con il know how tecnologico dell’Olivetti necessario per la sua produzione su larga scala.


Gli studi iniziali

È cosi iniziato il primo periodo di esplorazione di varie alternative per l’organizzazione della informazione nella memoria e della architettura logica interna. In particolare la struttura a registri interlacciati (tipo multiplex) per memorizzare i dati ed il programma e una specifica codifica dei caratteri numerici che permetteva la rappresentazione di un numero con la virgola in posizione naturale.

Registri interlacciati (tipo multiplex) è un gergo tecnico astruso per i non addetti che però si presta ad una facile interpretazione visiva. Se si vuole che i giocatori di diverse squadre partecipanti ad un torneo si presentino contemporaneamente al pubblico dello stadio uscendo da un tunnel in cui passano uno per volta, essi devono disporsi in fila successivamente uno per ciascuna squadra; entra così nello stadio il primo giocatore di ogni squadra e si dispongono nella prima riga che avanza di un passo. Analogamente per la seconda riga e le successive. In questo modo sono stati organizzati i 10 registri (squadre) della memoria (tunnel) della P101 permettendo così di operare contemporaneamente fra i bit (giocatori) di due qualsiasi di essi.

Analogie del genere erano tipiche nei nostri ragionamenti all’epoca.

La virgola in posizione naturale (cioè con numero di decimali variabili da numero a numero) è una brillante caratteristica della P101. A quel tempo le rappresentazioni canoniche erano quelle in virgola fissa per le applicazioni commerciali, o in virgola mobile per quelle scientifiche; oggi in un PC coesistono almeno una decina di tipi di dati diversi.

Nel frattempo a Perotto, che naturalmente si occupava anche degli altri progetti del suo gruppo e al sottoscritto appena svezzato, si era aggiunto Gastone Garziera, fresco di corsi di formazione tecnica iniziale per periti neoassunti. Un “neonato in fasce” che però si sarebbe dimostrato subito particolarmente precoce, un collaboratore essenziale.

Sulla base di queste scelte iniziali, con Garziera ho iniziato a studiare l’architettura logica del progetto cercando di utilizzare soluzioni derivate da quelle note nell’ambiente dei laboratori e messe a punto nel progetto Elea. Ma dopo alcuni mesi di tentativi poco convincenti ho cominciato a dubitare di questo approccio top down. Sostanzialmente noi stavamo tentando di realizzare l’equivalente di una motocicletta utilizzando le soluzioni adottate in un dirigibile.

Un aiuto a uscire dalle mie perplessità è venuto dal direttore dei Laboratori, l’ing. Giorgio Sacerdoti, che agli inizi del ‘63 aveva richiesto a Perotto lo studio di una unità di moltiplicazione con memoria a LMS per sostituire eventualmente un prodotto esistente, l’UME (Unità Moltiplicatrice Elettronica), realizzato due anni prima con un tipo di memoria molto più ingombrante e costosa.

Il progetto, di fatto molto semplice e da noi sviluppato in due settimane, sembrava sulla carta molto interessante. Il prototipo successivo, realizzato quasi per esercizio in parallelo agli studi specifici sul progetto principale, dimostrava indiscutibilmente la validità della scelta della memoria e della architettura logica adottata.

Con l’occasione avevamo infatti risolto un problema essenziale relativo al sincronismo richiesto tra l’informazione in uscita dalla memoria e l’orologio (il clock) che generava la temporizzazione di macchina. Senza entrare qui in dettagli tecnici, lo spunto era stato generato da un errore nella costruzione della memoria, un po’ più lunga di quanto necessario. L’alternativa era attendere la costruzione di un altro esemplare, ma dopo una notte insonne abbiamo trovato la soluzione risolutiva. Per gli esperti, si trattava di realizzare una “temporizzazione asincrona”, ma per noi era stata una bella scoperta. Ci eravamo così convinti, con grande soddisfazione, della concreta fattibilità del progetto che sarebbe diventato la P101.

La nuova UME era realizzata con due piastroni con dimensioni di poco superiore al formato A4, inclusa la memoria, contro i 9 piastroni della prima versione ed è così entrata in produzione.


Le unità di Input-Output

L’individuazione di una stampante adeguata è rimasto un problema aperto, senza soluzioni di riferimento convincenti, fino alla primavera del 1963.

La soluzione effettiva è stata trovata quasi per caso; era stata sviluppata su iniziativa personale di Franco Bretti, un progettista isolato “esiliato a Caluso” perché, come ricorda Perotto nel suo libro sulla P101 “era entrato in collisione ideologica col Centro Studi di Ivrea” , dove si concentrava tutto il know how progettuale meccanico dell’azienda.

La soluzione era concettualmente molto semplice, ma tecnologicamente raffinata. Riproduceva “in piccolo” la soluzione delle stampanti a tamburo parallele ad alta velocità dei grandi calcolatori, ma ripensata con grande acume per una applicazione ancora da inventare; un carrellino mobile portava l’unico martelletto che veniva “sparato” contro il rullo e stampava i caratteri sul rotolo di carta interposta.

Il dispositivo, estremamente compatto, richiedeva una elettronica di pilotaggio minima, aveva prestazioni eccezionali, 30 car/s contro i 15 massimi sui prodotti meccanici dell’epoca (macchine per scrivere, contabili). Senza questa soluzione le fortune della macchina sarebbero state ben diverse.

La tastiera invece è stata derivata da un progetto realizzato dal Centro Studi per la nuova contabile meccanica e offriva la grande velocità di digitazione e la eccezionale leggerezza di tocco tipiche delle migliori soluzioni meccaniche dell’epoca.

Anche la concreta realizzazione della cartolina magnetica, pur ben presente come esigenza, ha una origine quasi fortuita. Lo spegnimento accidentale della macchina in occasione di una dimostrazione informale del primo prototipo al direttore commerciale nel gennaio 1964, aveva costretto Garziera ad una snervante reintroduzione manuale del programma, conclusa giusto in tempo al momento del suo arrivo, evidenziando la precarietà dovuta alla  mancanza di una memoria non distruttiva. Ricordo ancora vivamente lo stress di quei momenti di tensione, risolti fortunosamente.

Perotto fortunatamente era in ritardo. A dimostrazione felicemente conclusa parlando con lui dell’accaduto, è venuto spontaneo alla mente un dispositivo realizzato in un precedente progetto, per leggere e registrare le nuove schede contabili con pista magnetica per le contabili Audit. Non è stato affatto difficile estrapolare dalla funzionalità di questo dispositivo lo schema della cartolina magnetica.

A sinistra il gruppo stampantina e a destra una cartolina magnetica

Nel 1969, a seguito della contestazione della Olivetti, la Hewlett-Packard avrebbe ammesso lealmente di aver copiato questa soluzione in un suo prodotto concorrente, l’HP9001, e pagato all’Olivetti royalties per 900.000 dollari che, all’epoca, era una cifra piuttosto consistente.

Il brevetto depositato negli Stati Uniti


(segue)

 

 

Share This