Il 19 novembre 2019 Mediobanca ha reso pubblico il carteggio relativo al cosiddetto “salvataggio Olivetti” con la pubblicazione di un volume del suo Archivio Storico, curato da Giampietro Morreale. Ne hanno dato notizia molti quotidiani, fra cui faceva spicco l’articolo di Paolo Bricco, assiduo commentatore della storia olivettiana, su Il Sole 24 Ore.

Ne sono derivati sulla rete alcuni commenti critici da parte di olivettiani di lungo corso, tendenti a chiarire la situazione finanziaria dell’azienda rispetto a quella della famiglia Olivetti, allora il gruppo azionista di riferimento, e a confutare i giudizi espressi su due dei protagonisti di allora, Roberto Olivetti e Bruno Visentini.

Il volume è ora reperibile in formato digitale direttamente dal sito di Mediobanca per cui ciascuno potrà consultarlo e formarsi una opinione personale.

Il commento di Giuseppe Silmo

Nello scorso mese di Novembre fummo tutti, non solo gli addetti ai lavori, colpiti dall’articolo di Paolo Bricco sul «Sole 24 Ore» “Il calcolatore d’Ivrea in America volle andar”, che ha fatto seguito alla presentazione di “Mediobanca e il salvataggio Olivetti”. Le reazioni furono varie.

L’Associazione Olivettiana di Bologna, in disaccordo da come veniva presentata la figura di Roberto Olivetti, scrisse in data 22 novembre 2019 una lettera al «Sole 24 Ore» che, a quanto mi risulta, non fu pubblicata, in cui ne difendeva la figura, citando anche il lavoro della Prof.ssa Gemelli “Informatica ed elettronica negli anni Sessanta. Il ruolo di Roberto Olivetti attraverso l’Archivio storico della Società Olivetti”.

Sul «Notiziario delle Spille d’Oro Olivetti» n. 4 del dicembre 2019, da parte mia pubblicai un commento, smontando l’apertura dell’articolo, in cui si parlava di memorie alterate dalla immaginazione che avevano creato fantomatici segreti e mitologie intorno alla vicenda, portando la testimonianza di Mario Caglieris (diventato in seguito Direttore Amministrativo, Controllo e Organizzazione e poi Direttore del Personale della Olivetti) raccolta nel mio libro “Olivetti. Una Storia Breve” Hever 2017, pag. 234-238.

Le impressioni ricavate dall’articolo del «Sole» furono da parte di diverse persone con cui mi confrontai: che si poteva trattare di una operazione tesa a esporre la verità di Mediobanca su quegli avvenimenti, oppure, o parte dello stesso disegno, una critica all’operato di Roberto Olivetti.

Ero rimasto con tutte le mie perplessità, quando nella seconda settimana di gennaio, mi è stato spedito da Mediobanca il libro e contestualmente l’invito, se ritenevo, di recarmi presso l’Archivio Storico Mediobanca in via Filodrammatici per approfondire il tema. Ho preso un po’ di tempo per leggermi con cura il testo ricevuto e poi lunedì 10 febbraio mi sono recato presso Mediobanca.

La lettura del libro era già risultata oltremodo interessante e in me aveva fatto sorgere la consapevolezza che una cosa era l’articolo giornalistico, volto a creare un clima emotivo che attirasse e coinvolgesse il lettore e un’altra cosa era il testo edito da Mediobanca.

In buona sostanza il libro è un lavoro di alto valore archivistico, storico e culturale. Dopo la breve introduzione di Giorgio La Malfa, la nota introduttiva di Giampiero Monreale è di grande onestà intellettuale e molto ben documentata. Riporta la numerosa letteratura che è sorta sull’argomento, iniziando dall’ormai mitico lavoro di Lorenzo Soria del 1979, “Informatica un’occasione perduta”, passando in rassegna con obiettività tutti il lavori successivi, compreso il saggio di Giuliana Gemelli e Flaminio Squazzoni “Informatica ed elettronica negli anni Sessanta”.

Tuttavia, a questa rassegna manca un’importante tassello: la testimonianza di Mario Caglieris. Contributo che avrebbe portato un elemento di chiarezza e di comprensione di quella vicenda, essendo il frutto di una stretta vicinanza tra Caglieris e Maranghi. Mario Caglieris era stato infatti incaricato dall’Azienda di assicurare, in contraddittorio con il rappresentante di Mediobanca Maranghi, le verifiche patrimoniali e amministrative.

La nota introduttiva si caratterizza per l’estrema apertura verso tutte le posizioni anche le più divergenti, arrivando a dire che “è forse giunto il momento di riconoscere che la “verità” storica in assoluto non esiste”; e ancora, parlando poi, dei documenti presentati: “Si tratta sempre di un punto di vista”.

I documenti sono essenzialmente i verbali delle riunioni stesi da Maranghi in quei mesi convulsi (58 testi). Con un buco temporale, dove manca l’accordo firmato dalla famiglia Olivetti e dal Gruppo di intervento il 18 maggio 1964 ricordato, con l’indicazione di tutti i presenti, da Caglieris. Questa la spiegazione: “Il vuoto tra i verbali del 17 aprile e del 1 giugno è dovuto al passaggio del testimone tra Mediobanca e IMI alla testa del Gruppo di Intervento”. Situazione questa mai emersa e che dovrà essere oggetto di studio.

Venendo ora all’articolo di Bricco si coglie tutta la distanza tra l’impostazione generale inclusiva ed empatica del lavoro presentato e l’articolo, dove nulla è concesso a chi la pensa in maniera difforme da quella che il giornalista pensa sia la verità.

Passando ai punti specifici, si veda il colloquio del 25 gennaio 1964.  Viene presentato “l’atterrimento” di Roberto di fronte alle condizioni dell’impresa e al disorientamento della sua famiglia. La stessa frase del verbale riportata, che dovrebbe palesare l’atterrimento, mostra sì molta preoccupazione (non certo atterrimento), ma nei riguardi della famiglia, non dell’azienda. Anzi Roberto dice più avanti che nel ’63 si è realizzato un utile. Cosa che verrà confermata nel bilancio di quell’anno. Anche se Cuccia ricorda che oltre a “un problema di sistemazione dei debiti degli azionisti […] esiste anche un problema ben più rilevante di finanziamento dell’Azienda”. Qui va ricordata la Nota Riservata a Visentini di Mario Caglieris, di molti anni più tardi, in cui affermava che venne confusa “la crisi finanziaria della famiglia con quella dell’Azienda, che non c’era” (vedi “Olivetti. Una Storia Breve” a pag. 238).

L’affermazione poi di Bricco che “quella riunione squaderna tutti gli elementi della vicenda”, che di fatto smentisce “quanti hanno dato una lettura, al limite della mitopoiesi, della Olivetti privata per qualche oscuro complotto internazionale della grande elettronica” è frutto di una lettura personale, infatti Roberto non parla affatto di cessione, ma dati gli investimenti necessari “l’opportunità di accordarsi con un gruppo americano”. Cosa che chiarisce ancora più esplicitamente nel colloquio del 31 gennaio, quando dice “che gli seccherebbe molto far vedere lo sviluppo raggiunto ad un’azienda che poi non dovesse entrare in combinazione con la Olivetti. Chiarisce che nella scelta di questo nuovo partner tecnico occorre innanzi tutto evitare l’eventualità di spionaggio industriale”. Niente di più distante dall’idea di cessione.

Che dire poi della frase dell’articolo: “Triste la figura di Roberto, che nei colloqui sulla grande elettronica non riesce a rappresentare la situazione in maniera difendibile”. Il “triste” è una interpretazione non suffragata dal testo. Infatti, le parole di Roberto, non esprimono né tristezza, né inadeguatezza: “Nel settore elettronico la Olivetti copre il 40% del mercato italiano”. E ancora: “Il settore elettronico della Olivetti ha attualmente una produzione di circa 20 miliardi l’anno, il settore occupa circa 4.000 persone, di cui 3.000 tecnici ed impiegati: l’andamento non è del tutto insoddisfacente, considerando che, al netto di 2,8 miliardi di ricerca, risulta una perdita annua non superiore al mezzo miliardo”. Di qui quindi la ricerca di un partner.

L’ultimo paragrafo, credo poi abbia colto un disappunto più ampio. Questa la chiusura: “Piccolo dettaglio, essenziale in ogni giallo: l’autore del verbale di questo incontro annota a mano, a fianco delle parole battute a macchina «è assai vicina», il verbo al condizionale «sarebbe». E, in questo condizionale, c’è tutto un mondo: la debolezza esausta della Olivetti e degli Olivetti e lo scetticismo di Enrico Cuccia, che credeva poco agli imprenditori italiani e che pensava alla chimica, non alla elettronica, come punta avanzata della frontiera tecnologica”.

Una bella chiusura giornalistica, peccato che quel «sarebbe» non è di Cuccia, come mi è stato evidenziato, ed è una semplice correzione manuale, come tante altre, del testo battuto a macchina, da parte dell’estensore del verbale. I curatori hanno voluto riportarle in corsivo per sottolineare le correzioni o le aggiunte manuali. Nessun dettaglio di un giallo, nessuna chimica, ma una semplice revisione del testo.

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