di Silvano Brandi

A Londra, nei giorni 18-20 novembre 1987, con una serie di eventi coordinati, Olivetti annunciò al mercato l’introduzione di una sua ambiziosa architettura informatica chiamata OSA, Open System Architecture.

OSA rappresentava una grossa sfida per Olivetti a valle di un tentativo di collaborazione con AT&T che l’aveva portata al primato in Europa nei PC, ma non nell’area dei sistemi informatici, anche a causa della scarsa competitività della linea di minicomputer 3B, che non si rivelò all’altezza delle aspettative generate dalla fama e prestigio dei Bell Labs che l’avevano sviluppata.

La sede dell’annuncio fu il prestigiosissimo Queen Elizabeth II Centre, inaugurato solo l’anno prima dalla Regina di Inghilterra e situato in una posizione centralissima di Londra, proprio di fronte alla facciata di Westminster Abbey.

Davanti all’Edificio sventolava tutta una serie di bandiere con il logo Olivetti e campeggiava l’immagine grafica, vagamente alla De Chirico, di un grande ponte a 3 arcate dall’aspetto solido e rassicurante, il simbolo iconico della architettura informatica che veniva presentata in quella occasione.

L’evento era organizzato in 3 giornate rispettivamente dedicate ai grandi clienti, alla pubblica amministrazione e ai partner commerciali e consisteva in una serie di presentazioni di una nuova linea di minicomputer, denominata LSX, con Sistema Operativo UNIX, oltre che MOS per compatibilità con precedenti linee di prodotto, e di un ambiente SW per applicazioni distribuite e che integrava workstation PC, oltre che con il sistema proprietario PB.

OSA era sostanzialmente una nuova architettura informatica aperta agli standard che si stavano affermando e in particolare a UNIX, realizzando la convivenza di mondi proprietari ed aperti e in qualche modo si contrapponeva a SNA, l’architettura “chiusa” e centralizzata di IBM.

Ciascuna giornata iniziava con un’introduzione dell’ing. Vittorio Levi, allora Direttore Generale del Gruppo Olivetti. Nella prima giornata, forse stimolato dalla novità e dall’eccitazione di avere di fronte una così qualificata audience di clienti, l’Ing. Levi fu estremamente convincente ed efficace per l’energia e l’entusiasmo che comunicava. Nella seconda e terza giornata le presentazioni furono via via meno brillanti con l’Ing. Levi che mostrava segni crescenti di insofferenza per la necessità di una ripetizione che forse trovava piuttosto noiosa.

Tutte le presentazioni tecniche e commerciali si succedettero comunque con grande professionalità da parte degli oratori, destando notevole interesse tra il pubblico degli invitati. Ma quello che si dimostrò oltremodo efficace fu il contorno di iniziative collaterali che contribuirono in modo determinante a rendere quell’evento assolutamente straordinario, dimostrando la peculiarità dell’approccio e dello stile Olivetti.

Al British Museum fu aperta in quei giorni una delle grandi mostre storico-artistiche che hanno caratterizzato la storia della Olivetti.  Dopo quelle dedicate ai Cavalli e al Tesoro di San Marco, quella di Londra era dedicata ai Vetri dei Cesari, ovvero ai vetri di epoca romana provenienti in gran parte dalle collezioni della Corning Museum of Glass (NY), del British Museum e dal Römisch-Germanisches Museum di Colonia, oltre a contributi da diversi musei archeologici italiani. Per l’occasione fu pubblicato un elegante, ricco e voluminoso catalogo, come sempre con l’impeccabile grafica di Egidio Bonfante.

Sempre al British Museum per le prime due giornate si tennero delle cene di gala organizzate addirittura nella sala dei marmi del Partenone: un menu forse non memorabile, ma una grande emozione poter pranzare in vista delle sculture di Fidia. Data l’eccezionalità dell’occasione era richiesto di indossare lo smoking e in quelle due serate indimenticabili fu molto divertente trovarci tutti agghindati con mogli al seguito, colleghi e contatti di business in un ambiente così straordinario.

La prima sera, il 18 novembre ci fu anche un preoccupante fuoriprogramma. Alloggiavamo in un bellissimo hotel dalle parti di Grosvenor Square e avvicinandosi l’ora di cena pensavamo di raggiungere in taxi il British Museum, ma il traffico nel centro di Londra appariva completamente bloccato. Si sparse la voce che c’era stato un attentato dell’IRA nella stazione della metropolitana di King’s Cross a Trafalgar Square, uno dei centri nevralgici del sistema di trasporti londinese e che si era sviluppato un tremendo incendio. Il fumo e le fiamme avevano invaso in pochi minuti i tunnel del metrò, intrappolando decine e decine di passeggeri e causando diversi morti e feriti. Come conseguenza tutto il traffico nel centro di Londra era andato completamente in crisi. Le indagini successive accertarono che non di un attentato si trattava, ma di un incendio iniziato da un fiammifero o mozzicone di sigaretta buttati accidentalmente sotto una scala di legno. Ci furono 30 vittime e oltre 100 feriti e da allora, in conseguenza dell’incidente, entrò in vigore il divieto di fumare nella Metropolitana.

Ci dovemmo avviare a piedi verso il British Museum ed era curioso vedere quelle persone tutte eleganti spostarsi per le vie del centro di Londra in un gruppo relativamente consistente e compatto. Quelle giornate furono un felicissimo mix di visione sistemistica, professionalità e competenza a tutti i livelli, impeccabile organizzazione, perfetta strategia di comunicazione e soprattutto unità di intenti e integrazione tra le varie funzioni aziendali, in altre occasioni non sempre allineate: una congiunzione di elementi che avrebbe potuto cambiare il futuro dell’azienda.

Sappiamo tutti come sono poi finite le cose con un finale che forse non avrebbe potuto essere diverso, ma non posso che pensare a quella occasione come a uno dei punti più alti toccati dalla parabola Olivetti.

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